venerdì 9 novembre 2012

Il PD resterà un’araba fenice per i radicali?


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


I rapporti fra Radicali e Partito Democratico si sono drammaticamente deteriorati e, in casa radicale, ci si chiede il motivo di un’esclusione e della negazione di qualsiasi dibattito ufficiale con la dirigenza democratica. Emma Bonino ha commentato: “Veramente c'è da chiedersi di quale peccato capitale, di quale reato si siano macchiati i radicali per essere totalmente espulsi. Non è una questione di buona educazione, perché non è questo il terreno. Forse è perché siamo troppo rigorosi sulla trasparenza? Forse perché siamo troppo rigorosi sul rispetto delle regole? Forse troppo rigorosi sulle questioni di libertà individuali e laicità dello Stato? Forse cosa? Siamo antipatici?”.

Sono tutte domande rimaste, almeno sinora, senza risposta e sono indubbiamente la manifestazione di un’incomprensione che parte da lontano. Fin dalla fondazione del Partito Democratico, il suo rapporto con i Radicali è stato controverso .

Nel 2007, Marco Pannella annunciò la sua candidatura, per la Rosa nel Pugno, alle primarie del nascente Partito Democratico. Essa fu dettata “dalla necessità di proseguire nella strategia radicale di assicurare al nostro Paese un'alternativa pienamente liberale, pienamente laica, pienamente socialista e radicale". Rosi Bindi dichiarò: “Come candidato minoritario diamo il benvenuto anche a lui”. Pannella vide, invece, respingersi la candidatura dall'Ufficio di presidenza del PD in quanto, pur non rivestendo alcun incarico, leader di una forza politica non impegnata a sciogliersi dentro il PD. Una scelta chiaramente politica di esclusione verso Pannella perché la struttura del movimento radicale non permette quel tipo di ragionamento.

In occasione delle elezioni del 2008, il PD “a vocazione maggioritaria” impose ai Radicali di rinunciare al simbolo, ospitando i candidati radicali nelle proprie liste. L’apparentamento con il simbolo venne, invece, concesso all’Italia dei Valori, in quanto quest’ultima promise di sciogliersi nel PD dopo le elezioni. Lo scioglimento, puntualmente, non si verificò.

Inoltre, fu posto il veto alla candidatura del leader Marco Pannella, nonostante egli fosse stato da anni assente dal parlamento italiano. “Marco lo facciamo eleggere alle Europee con 200.000 preferenze” dichiarò Goffredo Bettini per rassicurare i Radicali. Nemmeno questo si verificò, ma non fu l’unico veto che il PD impose: anche Sergio D’Elia e Silvio Viale dovettero subire un ingiusto ostracismo.

A D’Elia, parlamentare uscente eletto nella Rosa nel Pugno, vennero contestati fatti dai quali era stato riabilitato quasi dieci anni prima, mentre Viale dovette pagare la sua lunga militanza in favore dei diritti delle donne.

Ai Radicali venne garantita l’elezione di tutti i nove candidati al Parlamento. Quando vennero presentate le liste, si scoprì che quattro candidati furono inseriti in posizioni a rischio e per tre candidati si prospettò una quasi sicura ineleggibilità. Marco Pannella iniziò uno sciopero della sete, ma il PD rispose che le liste non erano più modificabili, salvo cambiare idea poco tempo dopo per inserire Stefano Ceccanti.

Solo l’imprevedibile e sorprendente fiasco elettorale della Sinistra Arcobaleno permise l’elezione di tutti i candidati, come promesso dal PD. Nonostante ciò, gli eletti radicali rispettarono gli accordi e mantennero la promessa di iscriversi al gruppo del Partito Democratico, diversamente dall’Italia dei Valori che tradì i patti.

In occasione delle elezioni europee del 2009, da una parte Bettini si rimangiò pubblicamente l’impegno alla candidatura di Marco Pannella, dall’altra il neo-segretario Dario Franceschini parlò in diretta televisiva di un’inesistente “divorzio consensuale”: un’uscita che gli valse il pannelliano “hai la faccia come il culo”.

In quello stesso anno, Pierluigi Bersani intervenne nel Congresso di Radicali Italiani e le incomprensioni sembrarono, almeno in parte, superate: alle elezioni amministrative del 2010 Emma Bonino fu candidata alla presidenza della Regione Lazio. Vennero messe a disposizione risorse molto scarse, se paragonate all’investimento effettuato qualche anno prima per Piero Marrazzo. Mesi dopo, arrivarono le rivelazioni di Concita De Gregorio, che confermò quanto alcuni avevano sempre sospettato: una larga parte del PD laziale, soprattutto in provincia, boicottò la candidatura della leader radicale per rafforzare nel PDL l’allora dissidente Fini e la sua candidata Renata Polverini. La legislatura alla Regione iniziò con la bocciatura da parte democratica del candidato radicale alla presidenza della commissione “per il pluralismo e l’informazione”, Giuseppe Rossodivita. Tutti sappiamo com’è andata a finire: sono stati i soli Radicali a scoperchiare il pentolone del malgoverno e del malaffare e a portare alle dimissioni della governatrice di centro-destra.

Non sono state solo le elezioni a contribuire alle incomprensioni fra PD e Radicali. All’inizio della legislatura, nel momento dell’assegnazione dei parlamentari alle commissioni, nessuna richiesta radicale venne soddisfatta, mentre nella commissione di vigilanza RAI si consumò uno spettacolo indecente, con il PD che boicottò un suo stesso parlamentare invitando, illegalmente, a disertare i lavori della commissione.

L’introduzione del divieto di doppia tessera, sconosciuto al PCI di un tempo, ha creato un’ulteriore frattura, culturale oltre che politica, ma la principale delusione, da parte radicale, è avvenuta sul fronte dell’amnistia, precondizione necessaria per la riforma della giustizia e centrale nell’analisi radicale. Da una parte, il PD ha sempre generalmente avversato l’iniziativa, con la senatrice Anna Finocchiaro che reagì infastidita persino dinanzi alla proposta di un dibattito. Dall’altra, il PD cercò in ogni modo di svuotare di significato il disegno di legge Alfano sulla de-carcerizzazione e il nuovo istituto della messa in prova, allinenandosi in questo non solo all’Italia dei Valori, ma persino alla Lega Nord. Dopo due lunghe lotte nonviolente della deputata radicale Rita Bernardini e dei Radicali si arrivò alla concreta possibilità di contrastare il criminale e disumano stato delle carceri, le catacombe contemporanee. Ma, grazie all’opposizione del PD, venne cancellato l’automatismo nella concessione della detenzione domiciliare, che fu ulteriormente limitata, stralciando l’introduzione della messa in prova.

In occasione del voto di fiducia al governo Berlusconi del 14 dicembre 2010, i Radicali vennero preventivamente tacciati di tradimento, salvo poi scoprire che, mentre i Radicali votarono coerentemente contro il governo, a fare il “salto della quaglia” furono parlamentari dell’Italia dei Valori e dello stesso PD.

Persino il voto di Marco Beltrandi contro una mozione parlamentare di Franceschini sull’election day (marzo 2011) venne strumentalizzato contro i Radicali. Sebbene il provvedimento fosse puramente indicativo e sarebbe stato, in ogni caso, disatteso dal Governo, piovvero tuoni e fulmini sul malcapitato Beltrandi, con annessa minaccia di espulsione dal gruppo.

In estate, fu la volta della “prepotente urgenza”, espressione con la quale il Presidente Giorgio Napolitano definì il dramma dello sfascio giudiziario e della disumana condizione delle carceri. Quelle di Napolitano si rivelarono, però, vuote parole, prive di reali conseguenze, come il doveroso messaggio presidenziale alle Camere, che resterà lettera morta fino ai giorni nostri. Nel settembre 2011, in occasione del voto sulla sfiducia ad personam contro il ministro Romano, i deputati radicali non presero parte al voto e la loro non partecipazione fu ininfluente per il risultato finale, con il Governo che prevalse per 315 a 294. Ancora una volta si levarono strali contro gli “inaffidabili” Radicali.

L’atteggiamento radicale fu ben motivato in questa dichiarazione di Elisabetta Zamparutti: “vogliamo esprimere con la nostra non partecipazione al voto la sfiducia ad un'intera classe politica che si ostina a mantenere lo sfascio della giustizia, che è il fondamento dello Stato di diritto, per ripristinare il quale urge una amnistia...amnistia per la Repubblica!”. Ma il sequestro da parte dello Stato di oltre sessantasettemila detenuti fu evidentemente considerato un aspetto irrilevante da parte del PD.

Il mese successivo, di fronte a un tentativo delle opposizioni, suggerito da Pierferdinando Casini, di mettere i bastoni tra le ruote alla maggioranza cercando di far mancare il numero legale al voto di fiducia, i deputati radicali decisero di entrare poco prima del “via libera” del capogruppo democratico. In aula volarono insulti contro gli esponenti radicali. Rosi Bindi perse le staffe. “Quando gli stronzi, sò stronzi galleggiano senz’acqua”. Ma anche stavolta i Radicali fecero bene i conti e Pier Luigi Bersani spiegò: “Non sono stati determinanti: pur se per un pelo, il numero legale la maggioranza lo ha raggiunto comunque”.

La delegazione radicale in Parlamento votò di rado difformemente dal Partito Democratico, ma quei pochi casi vennero particolarmente stigmatizzati dai media. Si ebbe la sensazione della presenza una sorta di regia occulta nell’accanimento mediatico contro i Radicali.

Si creò un clima di linciaggio antiradicale che sfociò negli insulti e negli sputi rivolti per strada a Marco Pannella dagli “italiani brava gente”. In quello stesso anno, nel mese di novembre, si tenne un incontro chiarificatore tra i leader radicali Pannella e Bonino e il segretario del PD Pierluigi Bersani che dichiarò: “So che è necessario un raccordo con una componente che mantiene la sua autonomia sulle scelte delle opposizioni. Serve un dialogo più riavvicinato". Furono parole confortanti per chi ha aveva creduto non solo nella necessità di una collaborazione fra Radicali e PD, ma purtroppo il seguito sarà diverso.

I Radicali vennero di nuovo duramente contestati nel caso del voto sull’arresto di Nicola Cosentino, nel gennaio 2012. A nulla valsero né la spiegazione del segretario di Radicali Italiani, Mario Staderini (“il processo Cosentino non si ferma, va avanti, è l’arresto che non ci sarà”) né la motivata dichiarazione di Maurizio Turco: “la richiesta di esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del collega a me pare infondata e frutto di un obiettivo fumus persecutionis, se si fa sforzo di serietà e omaggio alla legge.”

Bisogna ricordare che quel voto fu ininfluente ai fini della sopravvivenza del governo Berlusconi al quale – è bene ricordarlo – i parlamentari radicali hanno sempre votato la sfiducia, a differenza di vari esponenti dei delle altre due forze politiche della coalizione del 2008: il Partito Democratico e l’Italia dei Valori. Mentre i Radicali si sono rivelati fedeli ancora una volta, come ai tempi degli “ultimi giapponesi” in difesa del governo Prodi.

I più feroci cultori della realpolitik potrebbero infischiarsene dell’enorme patrimonio culturale e politico radicale, fatto di raffinate ed approfondite analisi, seguite da proposte capaci di rivoluzionare in senso liberale la società italiana.

Non credo, però, si possa dimenticare quanto dimostrato dallo studio sui flussi elettorali del 2006, quando fu la Rosa nel Pugno a spostare i voti determinanti per la vittoria del governo Prodi. La nuova coalizione di centrosinistra, disposta ad accogliere nuovamente il figliol prodigo Rutelli e pronta ad intavolare trattative con i comunisti di Diliberto, non può ignorare la capacità dei Radicali di intaccare l’elettorato del centro e della destra, spostando consensi che, come nel 2006, potrebbero rivelarsi determinanti anche nelle prossime elezioni di aprile.

Furono Pannella e i Radicali ad usare per primi la dizione “Partito Democratico” a livello elettorale, sognando un Partito Democratico laico, liberale e libertario per il quale è doveroso spendersi e lottare, affinché non resti, per i Radicali, un’irraggiungibile araba fenice.

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