martedì 11 dicembre 2012

La regola di Volcker è sempre più urgente


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


La regola di Volcker prende il nome dall’ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker che l’ha ideata e proposta nel 2008 ed è, in realtà, molto semplice: prevede una drastica limitazione al proprietary trading delle banche commerciali, cioè il divieto di comprare e vendere azioni, derivati, strumenti finanziari complessi non su richiesta di un cliente, ma come ricerca di utile in proprio. Inoltre, la regola di Volcker limita al 3% la partecipazione delle banche in hedge fund e si oppone radicalmente al concetto di banche “troppo grandi per fallire” (“too big to fail”, che è il titolo anche di un ottimo film di Curtis Hanson sulla bancarotta della Lehman Brothers).

Secondo Volcker, l’attività speculativa delle banche commerciali ha giocato un ruolo chiave nella crisi finanziaria iniziata nel 2007. Le banche commerciali sono protette dal sistema federale in caso di grave crisi perché assolvono alla funzione tradizionale di deposito dei risparmi e di erogazione di credito all'economia reale.

Nel tempo, si è andata perdendo la distinzione tra banche commerciali e banche d’affari per fare posto al modello di “banca universale” nel quale le storture sono ancora più evident. Fino a quando verrà permessa un’ampia commistione fra gestione dei prestiti o del risparmio e attività puramente speculativa, non verrà posto alcun freno al cosiddetto “azzardo morale”, in quanto le banche tenderanno sempre a comportarsi come giocatori d’azzardo, ben sapendo che i rischi, nel peggiore dei casi, ricadranno sugli Stati e quindi sui cittadini e sui risparmiatori.

Le banche d’affari, diversamente dalle banche commerciali, devono invece essere lasciate libere di speculare e di rischiare, ma anche di fallire, senza ricevere alcun aiuto pubblico.

Sostanzialmente, la regola di Volcker era già contenuta nel Glass-Steagall Act del 1933, poi abolito nel 1999 da Bill Clinton: la premessa che ha portato al crack a cui abbiamo assistito.

Barack Obama aveva presentato la regola di Volcker, ma le lobby di Wall Street non sono state a guardare e il testo della regola di Volcker si è molto complicato, a causa di eccezioni e distinguo, l’iter parlamentare è stato complesso ed è passato attraverso alterne vicende: le banche hanno tempo fino al 2014 per adeguarsi alla regola di Volcker, il cui testo definitivo dovrebbe essere pronto non prima del primo trimestre dell’anno prossimo.

Le prime dichiarazioni di Paul Volcker sono ottimiste su quanto “le nuove regole sono state efficaci. Le banche comunque hanno fermato le operazioni di proprietary trading e hanno operato ampi tagli ai rispettivi fondi hedge e di private equity. C'è un po' di ritardo e ciò rende la situazione più confusa, ma tutto sommato l'obiettivo è stato raggiunto, almeno per le operazioni più immediate. Manager e dirigenti hanno finalmente capito che questa legge deve essere seguita e penso che riusciranno a controllare i trader in modo efficace”.

Ma alcuni senatori repubblicani stanno già chiedendo di spostare ulteriormente in avanti il termine per l’attuazione della regola di Volcker che è necessaria anche in una riformulazione europea. Christine Lagarde, attuale direttore generale del Fondo monetario internazionale, ha ricordato che la funzione svolta dalle banche è un bene pubblico che non può essere lasciato al funzionamento del mercato e richiede un intervento pubblico per assicurare credito all'economia, regolamentare il settore, ridurre i rischi.

Se da un lato il ministro delle finanze francese Pierre Moscovici ha annunciato un disegno di legge contenente una sorta di regola di Volcker morbida; dall’altro, la recente crisi delle banche spagnole rende ancora più urgente una nuova regolamentazione anche in Europa.

venerdì 23 novembre 2012

Perché non andrò a votare alle primarie del centro-sinistra


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


Per registrarsi all’albo degli elettori delle primarie bisogna sottoscrivere “l’appello degli elettori dell’Italia bene comune” in cui è scritto chiaramente: “… rivolgiamo un appello a tutte le forze del cambiamento e della ricostruzione a sostenere il centrosinistra e il candidato scelto dalle primarie alle prossime elezioni politiche.” Il centrosinistra, almeno fino ad oggi, ha inspiegabilmente scelto di evitare qualsiasi forma di coinvolgimento dei Radicali e li ha completamente esclusi da ogni confronto.

Emma Bonino è stata lapidaria: “Quanto al dibattito tra radicali sulle primarie del centrosinistra, se non vogliamo fare infingimenti, chi si impegna per Renzi o per Bersani poi lo vota alle elezioni, vota per la coalizione. E a me non pare che noi ad oggi, abbiamo pregiudizialmente deciso di schierarci con il centrosinistra" Non sono mancati ammiccamenti all’elettorato radicale da parte di Matteo Renzi, seguito più recententemente da Nichi Vendola, ma si è trattato di battute da campagna elettorale che non hanno prodotto nulla di concreto.

Inoltre, nell’ appello agli elettori è contenuto il seguente passo: “Chiediamo che i candidati dell’Italia Bene Comune rispettino gli impegni contenuti nella Carta d'Intenti.”

Quest’ultima è un programma elettorale elaborato dal Partito Democratico, Sinistra Ecologia e Libertà e Partito Socialista Italiano, senza che ovviamente i Radicali abbiano potuto minimamente contribuire.

Marco Pannella ritiene che “… l'elezione di Renzi possa rappresentare una svolta importantissima in tutta la politica italiana", ma coerentemente non andrà a votare alle primarie. Ci andrà, invece, il confermato presidente di Radicali Italiani Silvio Viale, che ha cercato di dare la maggiore visibilità possibile al suo endorsement per Renzi, rimanendo in verità piuttosto isolato. Viale si pone, così, in contrasto con la mozione generale approvata nello scorso congresso di Radicali Italiani.

Nella mozione è scritto: “Prende atto del perpetrarsi della conventio ad excludendum del movimento radicale da parte dei principali soggetti della partitocrazia italiana, inclusa la decisione dei vertici del Partito democratico di escludere preventivamente ogni possibilità di partecipazione attiva di Radicali alle cosiddette "primarie" convocate dal trio Bersani, Vendola, Nencini … (omissis)... impegna gli organi dirigenti a mettere a disposizione l’apporto migliore e massimo del movimento alle iniziative anche politiche elettorali della galassia radicale, confermando quanto è sempre accaduto."

Silvio Viale è iscritto anche al Partito Democratico (come Mina Welby ed altri compagni radicali per i quali il PD deroga al suo statuto), ma non è un doppio tesserato qualsiasi: è, bensì, il presidente di Radicali Italiani che dovrebbe, da dirigente, contribuire alla messa in pratica di una mozione generale approvata ad amplissima maggioranza. La posizione politica di Viale, beninteso, è del tutto legittima, ma da un punto di vista politico dovrebbe coerentemente portare alle sue dimissioni dalla carica di presidente.

Radicali Italiani, nel riconfermare Viale alla presidenza, ha compiuto uno straordinario gesto di apertura verso il Partito Democratico, eleggendo un suo tesserato, ma nemmeno questo ha permesso di riaprire un dialogo interrotto da troppo tempo. Intervenendo all’XI Congresso di Radicali Italiani, anche il capodelegazione del PD Alessandro Maran ha evocato il dialogo, ma tristemente nulla di tutto ciò sta avvenendo e il centrosinistra continua ad escludere i Radicali, non avendo il coraggio di prendersi le responsabilità di un divorzio o di giustificarlo.

I compagni radicali che hanno superato la gimcana del doppio tesseramento al PD potrebbero ovviamente recarsi alle urne delle primarie, ma io non sono fra questi.

Da radicale, quindi, non voterò alle primarie perché non posso impegnarmi a votare per una coalizione che esclude il movimento radicale e che si basa su un programma al quale i Radicali non hanno minimamente contribuito.

venerdì 16 novembre 2012

L'emendamento necessario


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


“La votazione che ci apprestiamo a fare è una votazione per niente banale, ma è una votazione che segna o segnerà una svolta o una continuità sostanziale con quella che è stata la nostra storia e la nostra forza”. Con queste parole, durante la fase di votazione dell’XI Congresso di Radicali Italiani, Emma Bonino ha iniziato il suo intervento in favore dell’emendamento all’art.1 dello Statuto, avente come primo firmatario il tesoriere Michele De Lucia.

L’emendamento, come letto dal presidente Silvio Viale, recita: All’art. 1 dopo le parole “il Presidente del Congresso” e prima delle parole “il movimento che ha sede in Roma” si inserisce il seguente comma "Radicali Italiani in quanto tale e con il proprio simbolo non si presenta a competizioni elettorali".

Fin dalla sua fondazione nel 2001, Radicali Italiani non ha mai partecipato direttamente ad elezioni e l’emendamento, dunque, poteva apparire scontato, ma, considerata la spaccatura fra i congressisti, non possiamo certo affermare che sia stato così. Evidentemente, molti Radicali (e, fra di loro, anche vari dirigenti) considerano plausibile, e forse persino utile, l’ipotesi di presentare liste autonome da parte di Radicali Italiani.

Seguire questa strada sarebbe stato, a mio avviso, un grave errore, per ragioni che provo a spiegare.

Innanzitutto, come già ricordato, Radicali Italiani non ha mai preso parte, in quanto tale, alle elezioni e ciò non gli ha assolutamente impedito né di esistere né di fare politica, contribuendo, fra l’altro, ai soggetti elettorali radicali che si sono organizzati negli ultimi anni: la Lista Bonino-Pannella e la Rosa nel Pugno.

L’emendamento approvato, inoltre, conforma lo statuto di Radicali Italiani a quello del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito (del quale Radicali italiani è soggetto costituente) che all’art. 1 recita: “Il Partito Radicale in quanto tale e con il proprio simbolo non si presenta a competizioni elettorali”. La non partecipazione diretta alle elezioni è uno dei tratti fondamentali del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito; un altro tratto fondamentale, strettamente connesso al primo, è il doppio tesseramento: il Partito Radicale, il partito al quale chiunque può iscriversi. Come ha ricordato Marco Pannella nella sua ultima conversazione domenicale su Radio Radicale: “Non c’è precedente di organizzazione politica connotato da questo”.

Con l’approvazione dell’emendamento, Radicali Italiani si connota, quindi, maggiormente come “transpartito”, ovvero come partito aperto a tutte le provenienze e le militanze, “la contraddizione come ricchezza fra distinti e non necessariamente tra opposti”. Fra l’altro, ciò dovrebbe giovare a un movimento in cronica penuria di iscritti e al quale il Partito Radicale, in questi ultimi anni, ha destinato enormi risorse.

Infine, mentre Radicali Italiani può contare su oltre mille iscritti, sono oltre quattromila quelli iscritti alla “galassia radicale”. Quindi, Radicali Italiani non potrebbe in nessun caso arrogarsi il diritto di essere la forza promotrice di iniziative elettorali perché questo finirebbe con l’escludere un grande numero di compagni radicali, ma non tesserati di Radicali Italiani.

Più in generale, occorre interrogarsi sull’opportunità della partecipazione a competizioni elettorali che saranno caratterizzate, ancora una volta, dall’illegalità. In questo senso, il Lazio rappresenta un caso di portata nazionale nel quale, a mio avviso, bisognerebbe considerare la presentazione del simbolo del 2010: quello della Lista Bonino-Pannella, il soggetto politico elettorale che offre le massime garanzie di trasparenza e legalità per l’indiscussa integrità morale di Marco Pannella. Non è un caso che, in epoca di ruberie e scandali politici, i radicali siano ancora una volta estranei ad ogni forma di malversazione o, come recita un “hashtag” di moda: #tranneiradicali.

venerdì 9 novembre 2012

Il PD resterà un’araba fenice per i radicali?


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


I rapporti fra Radicali e Partito Democratico si sono drammaticamente deteriorati e, in casa radicale, ci si chiede il motivo di un’esclusione e della negazione di qualsiasi dibattito ufficiale con la dirigenza democratica. Emma Bonino ha commentato: “Veramente c'è da chiedersi di quale peccato capitale, di quale reato si siano macchiati i radicali per essere totalmente espulsi. Non è una questione di buona educazione, perché non è questo il terreno. Forse è perché siamo troppo rigorosi sulla trasparenza? Forse perché siamo troppo rigorosi sul rispetto delle regole? Forse troppo rigorosi sulle questioni di libertà individuali e laicità dello Stato? Forse cosa? Siamo antipatici?”.

Sono tutte domande rimaste, almeno sinora, senza risposta e sono indubbiamente la manifestazione di un’incomprensione che parte da lontano. Fin dalla fondazione del Partito Democratico, il suo rapporto con i Radicali è stato controverso .

Nel 2007, Marco Pannella annunciò la sua candidatura, per la Rosa nel Pugno, alle primarie del nascente Partito Democratico. Essa fu dettata “dalla necessità di proseguire nella strategia radicale di assicurare al nostro Paese un'alternativa pienamente liberale, pienamente laica, pienamente socialista e radicale". Rosi Bindi dichiarò: “Come candidato minoritario diamo il benvenuto anche a lui”. Pannella vide, invece, respingersi la candidatura dall'Ufficio di presidenza del PD in quanto, pur non rivestendo alcun incarico, leader di una forza politica non impegnata a sciogliersi dentro il PD. Una scelta chiaramente politica di esclusione verso Pannella perché la struttura del movimento radicale non permette quel tipo di ragionamento.

In occasione delle elezioni del 2008, il PD “a vocazione maggioritaria” impose ai Radicali di rinunciare al simbolo, ospitando i candidati radicali nelle proprie liste. L’apparentamento con il simbolo venne, invece, concesso all’Italia dei Valori, in quanto quest’ultima promise di sciogliersi nel PD dopo le elezioni. Lo scioglimento, puntualmente, non si verificò.

Inoltre, fu posto il veto alla candidatura del leader Marco Pannella, nonostante egli fosse stato da anni assente dal parlamento italiano. “Marco lo facciamo eleggere alle Europee con 200.000 preferenze” dichiarò Goffredo Bettini per rassicurare i Radicali. Nemmeno questo si verificò, ma non fu l’unico veto che il PD impose: anche Sergio D’Elia e Silvio Viale dovettero subire un ingiusto ostracismo.

A D’Elia, parlamentare uscente eletto nella Rosa nel Pugno, vennero contestati fatti dai quali era stato riabilitato quasi dieci anni prima, mentre Viale dovette pagare la sua lunga militanza in favore dei diritti delle donne.

Ai Radicali venne garantita l’elezione di tutti i nove candidati al Parlamento. Quando vennero presentate le liste, si scoprì che quattro candidati furono inseriti in posizioni a rischio e per tre candidati si prospettò una quasi sicura ineleggibilità. Marco Pannella iniziò uno sciopero della sete, ma il PD rispose che le liste non erano più modificabili, salvo cambiare idea poco tempo dopo per inserire Stefano Ceccanti.

Solo l’imprevedibile e sorprendente fiasco elettorale della Sinistra Arcobaleno permise l’elezione di tutti i candidati, come promesso dal PD. Nonostante ciò, gli eletti radicali rispettarono gli accordi e mantennero la promessa di iscriversi al gruppo del Partito Democratico, diversamente dall’Italia dei Valori che tradì i patti.

In occasione delle elezioni europee del 2009, da una parte Bettini si rimangiò pubblicamente l’impegno alla candidatura di Marco Pannella, dall’altra il neo-segretario Dario Franceschini parlò in diretta televisiva di un’inesistente “divorzio consensuale”: un’uscita che gli valse il pannelliano “hai la faccia come il culo”.

In quello stesso anno, Pierluigi Bersani intervenne nel Congresso di Radicali Italiani e le incomprensioni sembrarono, almeno in parte, superate: alle elezioni amministrative del 2010 Emma Bonino fu candidata alla presidenza della Regione Lazio. Vennero messe a disposizione risorse molto scarse, se paragonate all’investimento effettuato qualche anno prima per Piero Marrazzo. Mesi dopo, arrivarono le rivelazioni di Concita De Gregorio, che confermò quanto alcuni avevano sempre sospettato: una larga parte del PD laziale, soprattutto in provincia, boicottò la candidatura della leader radicale per rafforzare nel PDL l’allora dissidente Fini e la sua candidata Renata Polverini. La legislatura alla Regione iniziò con la bocciatura da parte democratica del candidato radicale alla presidenza della commissione “per il pluralismo e l’informazione”, Giuseppe Rossodivita. Tutti sappiamo com’è andata a finire: sono stati i soli Radicali a scoperchiare il pentolone del malgoverno e del malaffare e a portare alle dimissioni della governatrice di centro-destra.

Non sono state solo le elezioni a contribuire alle incomprensioni fra PD e Radicali. All’inizio della legislatura, nel momento dell’assegnazione dei parlamentari alle commissioni, nessuna richiesta radicale venne soddisfatta, mentre nella commissione di vigilanza RAI si consumò uno spettacolo indecente, con il PD che boicottò un suo stesso parlamentare invitando, illegalmente, a disertare i lavori della commissione.

L’introduzione del divieto di doppia tessera, sconosciuto al PCI di un tempo, ha creato un’ulteriore frattura, culturale oltre che politica, ma la principale delusione, da parte radicale, è avvenuta sul fronte dell’amnistia, precondizione necessaria per la riforma della giustizia e centrale nell’analisi radicale. Da una parte, il PD ha sempre generalmente avversato l’iniziativa, con la senatrice Anna Finocchiaro che reagì infastidita persino dinanzi alla proposta di un dibattito. Dall’altra, il PD cercò in ogni modo di svuotare di significato il disegno di legge Alfano sulla de-carcerizzazione e il nuovo istituto della messa in prova, allinenandosi in questo non solo all’Italia dei Valori, ma persino alla Lega Nord. Dopo due lunghe lotte nonviolente della deputata radicale Rita Bernardini e dei Radicali si arrivò alla concreta possibilità di contrastare il criminale e disumano stato delle carceri, le catacombe contemporanee. Ma, grazie all’opposizione del PD, venne cancellato l’automatismo nella concessione della detenzione domiciliare, che fu ulteriormente limitata, stralciando l’introduzione della messa in prova.

In occasione del voto di fiducia al governo Berlusconi del 14 dicembre 2010, i Radicali vennero preventivamente tacciati di tradimento, salvo poi scoprire che, mentre i Radicali votarono coerentemente contro il governo, a fare il “salto della quaglia” furono parlamentari dell’Italia dei Valori e dello stesso PD.

Persino il voto di Marco Beltrandi contro una mozione parlamentare di Franceschini sull’election day (marzo 2011) venne strumentalizzato contro i Radicali. Sebbene il provvedimento fosse puramente indicativo e sarebbe stato, in ogni caso, disatteso dal Governo, piovvero tuoni e fulmini sul malcapitato Beltrandi, con annessa minaccia di espulsione dal gruppo.

In estate, fu la volta della “prepotente urgenza”, espressione con la quale il Presidente Giorgio Napolitano definì il dramma dello sfascio giudiziario e della disumana condizione delle carceri. Quelle di Napolitano si rivelarono, però, vuote parole, prive di reali conseguenze, come il doveroso messaggio presidenziale alle Camere, che resterà lettera morta fino ai giorni nostri. Nel settembre 2011, in occasione del voto sulla sfiducia ad personam contro il ministro Romano, i deputati radicali non presero parte al voto e la loro non partecipazione fu ininfluente per il risultato finale, con il Governo che prevalse per 315 a 294. Ancora una volta si levarono strali contro gli “inaffidabili” Radicali.

L’atteggiamento radicale fu ben motivato in questa dichiarazione di Elisabetta Zamparutti: “vogliamo esprimere con la nostra non partecipazione al voto la sfiducia ad un'intera classe politica che si ostina a mantenere lo sfascio della giustizia, che è il fondamento dello Stato di diritto, per ripristinare il quale urge una amnistia...amnistia per la Repubblica!”. Ma il sequestro da parte dello Stato di oltre sessantasettemila detenuti fu evidentemente considerato un aspetto irrilevante da parte del PD.

Il mese successivo, di fronte a un tentativo delle opposizioni, suggerito da Pierferdinando Casini, di mettere i bastoni tra le ruote alla maggioranza cercando di far mancare il numero legale al voto di fiducia, i deputati radicali decisero di entrare poco prima del “via libera” del capogruppo democratico. In aula volarono insulti contro gli esponenti radicali. Rosi Bindi perse le staffe. “Quando gli stronzi, sò stronzi galleggiano senz’acqua”. Ma anche stavolta i Radicali fecero bene i conti e Pier Luigi Bersani spiegò: “Non sono stati determinanti: pur se per un pelo, il numero legale la maggioranza lo ha raggiunto comunque”.

La delegazione radicale in Parlamento votò di rado difformemente dal Partito Democratico, ma quei pochi casi vennero particolarmente stigmatizzati dai media. Si ebbe la sensazione della presenza una sorta di regia occulta nell’accanimento mediatico contro i Radicali.

Si creò un clima di linciaggio antiradicale che sfociò negli insulti e negli sputi rivolti per strada a Marco Pannella dagli “italiani brava gente”. In quello stesso anno, nel mese di novembre, si tenne un incontro chiarificatore tra i leader radicali Pannella e Bonino e il segretario del PD Pierluigi Bersani che dichiarò: “So che è necessario un raccordo con una componente che mantiene la sua autonomia sulle scelte delle opposizioni. Serve un dialogo più riavvicinato". Furono parole confortanti per chi ha aveva creduto non solo nella necessità di una collaborazione fra Radicali e PD, ma purtroppo il seguito sarà diverso.

I Radicali vennero di nuovo duramente contestati nel caso del voto sull’arresto di Nicola Cosentino, nel gennaio 2012. A nulla valsero né la spiegazione del segretario di Radicali Italiani, Mario Staderini (“il processo Cosentino non si ferma, va avanti, è l’arresto che non ci sarà”) né la motivata dichiarazione di Maurizio Turco: “la richiesta di esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del collega a me pare infondata e frutto di un obiettivo fumus persecutionis, se si fa sforzo di serietà e omaggio alla legge.”

Bisogna ricordare che quel voto fu ininfluente ai fini della sopravvivenza del governo Berlusconi al quale – è bene ricordarlo – i parlamentari radicali hanno sempre votato la sfiducia, a differenza di vari esponenti dei delle altre due forze politiche della coalizione del 2008: il Partito Democratico e l’Italia dei Valori. Mentre i Radicali si sono rivelati fedeli ancora una volta, come ai tempi degli “ultimi giapponesi” in difesa del governo Prodi.

I più feroci cultori della realpolitik potrebbero infischiarsene dell’enorme patrimonio culturale e politico radicale, fatto di raffinate ed approfondite analisi, seguite da proposte capaci di rivoluzionare in senso liberale la società italiana.

Non credo, però, si possa dimenticare quanto dimostrato dallo studio sui flussi elettorali del 2006, quando fu la Rosa nel Pugno a spostare i voti determinanti per la vittoria del governo Prodi. La nuova coalizione di centrosinistra, disposta ad accogliere nuovamente il figliol prodigo Rutelli e pronta ad intavolare trattative con i comunisti di Diliberto, non può ignorare la capacità dei Radicali di intaccare l’elettorato del centro e della destra, spostando consensi che, come nel 2006, potrebbero rivelarsi determinanti anche nelle prossime elezioni di aprile.

Furono Pannella e i Radicali ad usare per primi la dizione “Partito Democratico” a livello elettorale, sognando un Partito Democratico laico, liberale e libertario per il quale è doveroso spendersi e lottare, affinché non resti, per i Radicali, un’irraggiungibile araba fenice.

martedì 23 ottobre 2012

Che cosa mi aspetto dal congresso di Radicali italiani...


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


L’undicesimo congresso di Radicali italiani avrà luogo a Roma, all’hotel Ergife, dal 1 al 4 novembre. Come “Notizie Radicali” abbiamo pensato che poteva essere utile offrire uno spazio di riflessione, confronto e dibattito; e per questo abbiamo chiesto a un certo numero di compagne e compagni di rispondere alla domanda “aperta”: “che cosa mi aspetto dal Congresso”. Nel senso di: cosa suggerisco, cosa propongo, cosa penso che debba essere fatto. E’ evidente che al di là dell’invito fatto per avviare la riflessione, il dibattito è aperto a chiunque vorrà intervenire. Abbiamo già pubblicato i contributi di Romano Scozzafava e Maurizio Bolognetti (15 ottobre); Claudio M. Radaelli (16 ottobre); Laura Arconti (17 ottobre); Guido Biancardi (18 ottobre); Emanuele Rigitano (19 ottobre); Emiliano Silvestri (20 ottobre). Oggi è la volta di Andrea de Liberato. Per intervenire, inviare i contributi a: va.vecellio@mail.com





Il Congresso del 2012 di Radicali Italiani si svolgerà in un momento che si rivelerà probabilmente decisivo per la politica e per il futuro non solo dei Radicali, ma dell’intero Paese. Emma Bonino ha annunciato la partecipazione “ad ogni livello” di liste radicali che, come specificato da Marco Pannella, saranno “liste aperte”.

Innanzitutto, dovranno essere ovviamente aperte agli esponenti della comunità carceraria: a chi è stato o è tuttora vittima del vergognoso stato delle carceri italiane, il termometro dell’inciviltà antidemocratica e illegale della Giustizia nel nostro Paese. Mi auguro che le liste radicali abbiano la possibilità di ospitare personalità del mondo dell'arte e della cultura, rinnovando una tradizione che vede in Leonardo Sciascia una delle sue espressioni più nobili e confermando di saper tenere vivo un legame con il mondo culturale ed accademico, che si è rivelato un fattore spesso decisivo nel ruolo di avanguardia politica svolto dai Radicali. Inoltre, le liste radicali dovranno essere aperte ai liberali, agli ecologisti, ai socialisti liberali.

I liberali sono sparsi nei grandi partiti oppure riuniti in piccoli gruppi, spesso di recente formazione. Anche i socialisti appaiono divisi in varie formazioni politiche ed la maggiore (l’unica che abbia un peso elettorale minimamente rilevante, il PSI) aderisce già all’Alleanza di (centro)sinistra, imperniata su Bersani e sul Partito Democratico. I Verdi, da parte loro, hanno dato vita a un’aggregazione ecologista che, sebbene leggermente in crescita, difficilmente riuscirà a sopravvivere da sola.

Per le liste annunciate dai due leader radicali si pone il problema del simbolo elettorale: quello della Lista Pannella-Bonino identifica esclusivamente la realtà radicale e, a rigor di logica, si dovrebbe utilizzare qualora le liste rimangano esclusivamente radicali, anche in virtù della sua maggiore riconoscibilità. Un’alternativa è la Rosa nel Pugno che può rappresentare, come già nel 2006, qualcosa di più ampio. Al tempo stesso, però, quel simbolo resta strettamente legato, almeno nelle sue ascendenze mitterandiane, all’esperienza socialista liberale e rischierebbe di rivelarsi escludente verso una parte del mondo liberale.

Si tratterà di verificare, infine, chi possa essere disposto ad aggregarsi nelle liste radicali, avendo ben presente che l'analisi e la proposta radicale, come il libro giallo della "Peste italiana", restano qualcosa di unico e non vengono condivise generalmente dagli altri partiti.

Mario Staderini, il segretario di Radicali Italiani, ha annunciato, durante il recente Comitato Nazionale, la presentazione di tre “pacchetti referendari”: sei referendum che investono una parte essenziale della politica e della storia radicale. Promuovere questi referendum è un obiettivo ambiziosissimo, ma doveroso, come necessaria risposta all’antipolitica trionfante e sfascista.

La raccolta di firme per le liste radicali e per i referendum sarà portata avanti in condizioni difficili, sia da un punto di vista organizzativo che finanziario. Le casse sono pressoché vuote perché l’autofinanziamento, in tempi di crisi, è sempre più difficile e si è attinto ai rimborsi elettorali solo per la quota effettivamente spesa alle elezioni ovvero in misura infinitamente minore rispetto a tutte le altre forze politiche (anche a quelle che hanno preso meno voti della Lista Bonino Pannella).

Il problema finanziario è, quindi, prioritario ed ineludibile se si vogliono affrontare le prossime elezioni nazionali ed amministrative con liste autonome ed alternative, portando al contempo avanti un’iniziativa referendaria. Da un lato, si potrebbe intaccare il patrimonio della galassia, avendo ben presente che si tratterebbe di una strada senza ritorno e che alcune soluzioni (come la vendita della sede di via Torre Argentina) comporterebbero comunque nuove spese. Dall’altro, sarebbe suggestivo riuscire a mettere in piedi una campagna che riporti in vita un vecchio slogan: “I Radicali: o li scegli o li sciogli”.

mercoledì 17 ottobre 2012

La bomba ecologica del Lazio

pubblicato da NOTIZIE RADICALI


La bomba ecologica dei rifiuti di Roma continua ad essere allegramente sottovalutata, in un grottesco balletto che vede protagonisti i governanti laziali.

Il “piano per Roma” presentato dal ministro Corrado Clini prevede il ripristino della legalità nell’ambito del trattamento dei rifiuti, in ottemperanza alle direttive europee e alle leggi italiane: cinquanta per cento di raccolta differen ziata entro il 2014 (rispetto all’attuale misero venticinque per cento), il recupero di materia ed energia, l’uso delle discariche come soluzione residuale per la quota di rifiuti non recuperabili completare il sistema di impianti di TMB (trattamento meccanico-biologico) e degli impianti per la valorizzazione energetica dei rifiuti.Il “piano per Roma” è stato sinora l’unico vero punto d’accordo fra la regione del Lazio, la provincia e il comune di Roma. Esso individua una graduatoria dei siti in cui realizzare la discarica “provvisoria” che per due o tre anni dovrebbe sostituire Malagrotta. L’elenco dei siti si basa, malauguratamente, su quello predisposto dalla Regione e già bocciato dalla Commissione Commissione parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, che lo considera “inadeguato, perché doveva essere frutto di un’attività istruttoria sul campo”.

Il piano di Clini aggiunge, ai siti a suo tempo individuati dalle regioni, quello di Monte Carnevale: un sito militare posto sopra uno strato di argilla di 100 metri ed attiguo alla Valle del Galeria, il territorio già massacrato dalla criminale discarica di Malagrotta.

Gli enti locali si oppongono ed inizia un tragicomico gioco dell’oca che dapprima si ferma a Corcolle, a due passi da Villa Adriana: le proteste internazionali e le minacce dell’Unesco inducono l’allora commissario ai rifiuti Giuseppe Pecoraro a desistere e a presentare le dimissioni.

Ma la politica non si sogna nemmeno di fare il suo mestiere e viene nominato un nuovo commissario: il prefetto Goffredo Sottile, che punta su Pian dell’Olmo, un sito già scartato anni prima dalla stessa Regione, poi misteriosamente ricomparso sotto gli auspici dell’onnipresente Manlio Cerroni, il patron della Colari (Consorzio Laziale dei Rifiuti) che da decenni gestisce la discarica di Malagrotta e lo smaltimento dei rifiuti nella Capitale. La protesta nonviolenta dei cittadini di Riano (comune distante poche centinaia di metri da Pian dell’Olmo) e della valle Tiberina si realizza con l’occupazione pacifica della località in cui dovrebbe sorgere la discarica. Un’altra volta, si deve fare dietrofront: la cava di Pian dell’Olmo è troppo piccola e necessiterebbe di opere di adeguamento costosissime quanto di dubbia efficacia.

Si ritorna, infine, a Monti dell’Ortaccio, a due passi da Malagrotta, un sito già scartato dai tecnici dell’ex commissario Pecoraro che hanno dichiarato: “L’area presenta un livello di contaminazione e inquinamento che rappresenta un fattore escludente non derogabile. E risulta troppo vicino a frazioni e centri abitati”. Già in precedenza l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) aveva escluso Monti dell’Ortaccio per motivi simili. Il XV municipio XV ha ordinato l’immediata sospensione dei lavori in corso sul sito ed il ripristino dello stato dei luoghi. Infatti, Monti dell’Ortaccio è una enorme cava, di proprietà del “re dei rifiuti” Manlio Cerroni, creatasi negli anni per portare a Malagrotta la terra per sotterrare i rifiuti. Insomma, assistiamo ancora una volta a pratiche che dovrebbero essere terminate da decenni: la priorità pare essere trovare, nel più breve tempo possibile, una cava dismessa o una qualunque buca già esistente per scaraventarci dentro quotidianamente migliaia di tonnellate di rifiuti non trattati.

Inoltre, il prefetto Sottile deve incassare, oltre al “no” del sindaco Alemanno, anche la bocciatura di Monti dell’Ortaccio da parte della Conferenza dei Servizi, organismo in cui siedono, fra gli altri, Comune, Regione, Provincia.

Come se non bastasse, un’altra tegola rischia di cadere sulla testa del commissario Sottile: a novembre 2011, il prefetto Pecoraro chiede se può affidare la gestione dello smaltimento direttamente ai privati e l’Avvocatura dello Stato risponde che “bisogna rispettare i principi di libera concorrenza, trasparenza, pubblicità” con una gara pubblica. Il contrario di quanto sta accadendo con Monti dell’Ortaccio e l’avvocato Manlio Cerroni, che è già proprietario dell’area e tratta direttamente con le Autorità.

Per dare un’idea del livello del commissario attualmente in carica, riportiamo uno stralcio dell’audizione parlamentare di Sottile presso la cosiddetta commissione “ecomafie”, presieduta da Gaetano Pecorella che chiede a Sottile: “Farete prima delle verifiche oppure andremo avanti ad indicare luoghi che si rivelano non adatti?”. “Si allungano i tempi”, la risposta. Ancora Pecorella: “Così si allungano di più”.

Ma Sottile, nonostante i pareri negativi, insiste su Monti dell’Ortaccio ed è pronto a ricevere prossimamente, da parte di Cerroni, “integrazioni al progetto per la discarica temporanea, che dovremo esaminare per esprimere delle valutazioni'', mentre Alemanno vagheggia di fantomatiche alternative che sarebbe pronto a presentare.

Nel frattempo, Malagrotta va verso l’ennesima proroga: l’ultima scade il 31 dicembre. La mega discarica romana è incapiente da anni ed è oggetto di procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea: quotidianamente vengono sotterrate migliaia di tonnellate di rifiuti non trattati (c.d. “talquale”) in barba alle leggi nazionali ed europee e infischiandosene della salute dei cittadini.

Le normative impongono di interrare solo rifiuti trattati, ma non tutti gli impianti (termovalorizzatori/inceneritori e impianti per il trattamento meccanico biologico/tmb) funzionano a pieno regime. Secondo i dirigenti dell’azienda municipalizzata Ama mancherebbe un’autorizzazione regionale, mentre Paolo Stella, direttore tecnico di un’azienda del gruppo Cerroni, che riferendosi all’Ama rilascia una dichiarazione agghiacciante: “Da uomo della strada, dico che costa di meno portarli in discarica: loro sono una Spa», Fra il ministro tecnico Corrado Clini e i commissari prefettizi che si sono succeduti, Pecoraro e Sottile, la grande assente è la politica. Del resto, la stessa commissione parlamentare rileva “l’inopportunità di ricorrere a strutture emergenziali, che consentono agli enti locali di sottrarsi alle decisioni”.

E’ l’ennesimo disastro della partitocrazia: a parole tutti sono contro la proposta di Sottile su Monti dell’Ortaccio, ma nessuno riesce a indicare un’alternativa. Né Gianni Alemanno, il cui assessore De Lillo già nel 2010 dichiarava che “nel territorio di Roma Capitale non vi sono aree idonee”. Né Nicola Zingaretti, che cinicamente ha continuato ad insistere su un sito inidoneo ma lontano da Roma come Pian dell’Olmo perché convinto di candidarsi a sindaco (chissà come rimedierà ora che corre per la Regione). Né tantomeno l’ormai dimissionaria Renata Polverini, che già mesi prima dello scandalo che l’ha vista protagonista si trincerava dietro ripetuti “no comment” a fronte dell’evidente fallimento del piano regionale di cui si era fatta promotrice.

A nulla valgono i giusti richiami del ministro Clini: “Quello dei rifiuti del Lazio è un sistema assurdo che fa comodo a chi amministra. Tocca a loro decidere il sito definitivo. Hanno le competenze, le esercitino”.

Sia Alemanno che Zingaretti sono papabili candidati alle prossime elezioni e non vogliono sporcarsi le mani, così come una Polverini ansiosa di riciclarsi e ben radicata elettoralmente nel Lazio. Meglio dichiararsi populisticamente contrari a qualsiasi soluzione o prospettare scenari ottimisticamente fantascientifici e passare la patata bollente al commissario governativo.

Eppure la soluzione ci sarebbe: la strategia “Rifiuti Zero” indicata da Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo, consiglieri regionali della Lista Bonino Pannella. Riutilizzare tutti i prodotti, attraverso una vita ciclica delle risorse e facendo tendere allo zero i rifiuti da conferire in discarica: una strategia vincente che sta già dando risultati miracolosi, come a San Francisco.

sabato 12 maggio 2012

L’intellettuale collettivo liberale

pubblicato da LIBERTIAMO


“Intellettuale collettivo” è una dizione introdotta in filosofia da Antonio Gramsci, strettamente legata al partito operaio e all’intellettuale organico. Ma lo stesso concetto di intellettuale collettivo può essere rinnovato in chiave liberale, ritenendolo distinto e alternativo rispetto al concetto di intellettuale organico gramsciano.

L’intellettuale collettivo realizza una ricerca comune della verità e porta alla fine di una cesura netta fra intellettuale della ricerca e militante politico, prevedendo una nuova figura di intellettuale-politico-militante, come inevitabile conseguenza dell’acculturamento di un numero crescente di cittadini.

Oggi, la figura di militante politico tradizionale non è più concepibile. Nell’epoca dei social network i soggetti, gli individui non si associano più: semplicemente si aggregano secondo scelte e parole d’ordine nuove. La più celebre enciclopedia online, Wikipedia, è un esempio calzante di coscienza ed intelligenza collettiva che ha rivoluzionato il sapere. Tutti possono scrivere e contribuire, apportando modifiche e tutti possono consultare l’opera ultima: Wikipedia è la più grande opera condivisa in rete.

L’intelligenza collettiva è un particolare modo di funzionamento dell’intelligenza che supera la cognizione individuale: esiste, dunque, un’intelligenza collettiva, ovvero un’intelligenza diffusa attraverso i nuovi media, mediante i quali si possono creare sinergie inedite, condividendo conoscenze che possono essere scambiate superando tutte le distanze linguistiche, fisiche e culturali, perché messe “in rete”. I computer e internet sono mezzi in grado di aumentare non solo la cooperazione degli individui, ma anche quella delle organizzazioni collettive umane, e la connessione è un fattore preponderante: esiste dunque un’intelligenza connettiva che attraverso la rete può diventare un moltiplicatore di intelligenze.

Ed esiste, altresì, un intellettuale collettivo anche nel senso di esseri umani e computer connessi in un cyberspazio, collegando umani e computer in una maniera nuova, tale da portare l’intellettuale collettivo ad agire più intelligentemente rispetto a prima.

L’intelligenza collettiva, in tutte le sue ipotetiche declinazioni culturali, scientifiche, aziendali, sociali, politiche eccetera, è la grande sfida del terzo millennio e la risposta alla crisi delle risorse e alla complessità della globalizzazione. E’ un processo parallelo e pluricentrico. L’intellettuale collettivo è tale se riesce a risolvere i problemi in gruppo, dove ognuno ha un pezzo di conoscenza: intesa come sapere o come un proprio talento, un’attitudine, una qualità personale.

In molti hanno auspicato, anche dalle colonne di questo giornale, l’unione di tutti i Liberali italiani. Si tratta di un obiettivo ambizioso, da molti ritenuto impossibile, ma raggiungibile se i Liberali sapranno operare come intellettuale collettivo, con l’ausilio determinante del “metodo liberale”: è un salto che può avvenire grazie alla conoscenza, che porta la circolazione delle idee, proprio come, per l’appunto, un intellettuale collettivo.

“Conoscere per deliberare” è un celebre motto di Luigi Einaudi, mai come oggi attuale e da non dimenticare.

mercoledì 2 maggio 2012

L’Iniziativa radicale romana per il riconoscimento delle famiglie di fatto e delle unioni civili

pubblicato da NOTIZIE RADICALI


In queste settimane, Radicali Roma e Certi Diritti hanno promosso la campagna "Teniamo Famiglia", che si concluderà nei prossimi giorni, per una delibera di iniziativa popolare per il riconoscimento delle famiglie di fatto e le unioni civili e il sostegno alle nuove forme familiari da parte del Comune di Roma.

La delibera di iniziativa popolare depositata al comune di Roma è molto simile a quella già approvata nel 2010 a Torino e a Napoli ed ora in discussione a Milano. Viene adottata la definizione di "famiglia anagrafica", così come definita dal Regolamento anagrafico nazionale (D.P.R. 223 del 1989) in base alla quale per famiglia si intende un gruppo di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincolo affettivo coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune".

La legge, dunque, prevede già il riconoscimento e la valorizzazione della famiglia basata su vincolo affettivo al pari delle altre forme familiari; i Comuni devono considerarla in tutte le sue politiche, senza alcuna discriminazione per i diritti garantiti, l'erogazione di servizi ed i sostegni alla famiglia.

L’associazione Radicali Roma non è nuova a questo tipo di iniziative: sotto la guida di Massimiliano Iervolino, vennero già raccolte le firme per istituire il registro delle unioni civili nel comune di Roma, ma la delibera di iniziativa popolare venne bocciata nel 2007 dalla maggioranza che sosteneva il sindaco Valter Veltroni, il quale pensò bene di cedere alle pressioni di Oltretevere, indulgendo in una politica reazionaria che, lungi dall’attrarre il voto dei moderati al centro-sinistra, spalancò le porte all’avvento di Gianni Alemanno.

Il Comune di Roma dovrebbe attuare la legislazione già esistente, invece è evidente l'immobilità del Campidoglio rispetto al tema del riconoscimento delle famiglie di fatto, legami affettivi che si instaurano al di fuori del matrimonio e si connotano come convivenze stabili e durature.

Riccardo Magi, in qualità di segretario di Radicali Roma, sta coordinando la campagna con grande dispendio di energie e limitatezza di mezzi, eppure la risposta dei cittadini ai banchetti gestiti dai militanti ed allestiti sulle strade è generalmente positiva, in tutte le fasce di età e senza particolari distinzioni politiche. Si tratta di una questione fortemente sentita dalla maggioranza dei cittadini e se l’Italia è già drammaticamente in ritardo rispetto agli altri Paesi Europei, Roma arranca in confronto ad altre grandi città italiane. Accanto a Radicali Roma e a Certi Diritti, si sono aggiunti fra i promotori Sinistra Ecologia Libertà (Forum Queer e Roma Area Metropolitana), Giovani Idv, Uaar Roma, Arcigay Roma, Circolo Mario Mieli e molte altre sigle del mondo dell’associazionismo LGBT romano.

Manca, ovviamente, il Partito Democratico, ancora una volta ostaggio delle sue contraddizioni interne: se da una parte Anna Paola Concia ha meritoriamente firmato l’iniziativa, dall’altra la commissione “Diritti civili e laicità” presieduta da Rosi Bindi pare dormire sonni tranquilli. Il numero delle firme necessarie alla delibera popolare sta per essere raggiunto ed è stato creato il blog http://teniamofamiglia.blogspot.com/, che ha avuto oltre trentamila visitatori e dove tutti sono invitati a mettere la faccia mandando la propria foto e a firmare la proposta.

mercoledì 11 aprile 2012

La bomba ecologica di Renata Polverini/2


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


Il Piano Rifiuti, approvato in gennaio dal Consiglio Regionale del Lazio, prevede già di non rispettare le leggi nazionali riguardo alla raccolta differenziata dei rifiuti. Esso contiene, infatti, due diversi “scenari”. Da un lato, troviamo uno “scenario di piano” e fin qui tutto bene: entro l’anno si raggiungerà il 65 per cento di raccolta differenziata, rispettando quanto previsto dalle vigenti leggi.

Continuando a leggere il testo del Piano Rifiuti, ci imbattiamo, però, nella trappola, ovvero nello “scenario di controllo”, secondo il quale “potranno essere autorizzate ulteriori capacità di trattamento per il rifiuto indifferenziato e di termovalorizzazione” qualora non si raggiungano gli obiettivi previsti dalla legge sulla raccolta differenziata, cioè non si riesca a gestire in maniera legale il ciclo dei rifiuti. Infatti, la triste realtà vede Roma inchiodata a un misero 20 per cento nella raccolta differenziata e l’ipocrita Piano Rifiuti di Renata Polverini si rassegna a derogare alla legge.

In materia di smaltimento dei rifiuti, purtroppo, le deroghe sono una consuetudine. Ogni anno, infatti, le manovre finanziarie (da ultima quella del governo Monti) hanno permesso di derogare alle Direttive europee e di perseverare nell’interrare rifiuti non trattati in discarica (il cosiddetto “tal quale”). Oggi, oltre il 30 per cento dei rifiuti che arrivano a Malagrotta (la più grande discarica europea che ingurgita da un trentennio i rifiuti della capitale) non sono preventivamente trattati. Nel 2010 erano addirittura l’80 per cento, mentre le norme comunitarie prevedono che non possano essere assolutamente smaltiti in discarica rifiuti non trattati.

Come se non bastasse, nel Piano della Polverini troviamo un’ulteriore riprova della mancata volontà politica di realizzare lo “scenario di piano”, ovvero di rispettare la legalità: se la raccolta differenziata raggiungesse quanto stabilito dalla legge non vi sarebbe, infatti, alcun bisogno di ulteriori impianti di Trattamento Meccanico Biologico (TMB) dei rifiuti, che invece sono previsti.

Il pasticciato Piano della Polverini dispone, inoltre, l’individuazione di siti che andranno a sostituire “provvisoriamente” (in realtà, per ben tre anni) la discarica di Malagrotta, mentre sito definitivo (con inceneritore / termovalorizzatore incluso) verrebbe realizzato a Fiumicino, in località Pizzo del Prete.

La Polverini, già in debito di ossigeno, per sbrogliare la matassa si rivolge disperata al governo Berlusconi che nomina un commissario , nella persona del prefetto Giuseppe Pecoraro, un commissario ad-hoc per chiudere Malagrotta (già oggetto, come vedremo, di una procedura di infrazione europea) e gestire l’emergenza.

Il prefetto sceglie frettolosamente due siti che vengono sonoramente bocciati: quello di Corcolle-San Vittorino dal Ministero per i Beni Culturali in quanto troppo vicino alle meraviglie archeologiche di Villa Adriana, quello di Riano (in località Quadro Alto) dall’Autorità di Bacino del Tevere, in quanto a rischio esondazione. Le bocciature sono l’ovvio risultato di un approccio incredibilmente superficiale da parte del commissario Pecoraro, i cui tecnici dichiarano che “tutte le informazioni sui siti sono rese più sulla base di dati bibliografici che su indagini in loco”.
In questo pasticcio, è intervenuto il Governo, nella persona del ministro per l’ambiente Corrado Clini, che ha convocato le autorità coinvolte e ha redatto un progetto di emergenza, il cosiddetto Piano per Roma.

Ma gli obiettivi indicati nel Piano governativo vengono giudicati troppo ambiziosi e considerati irrealistici da Polverini. Eppure, si tratterebbe di raggiungere, nella raccolta differenziata, un modesto 50 per cento, ben al di sotto di quanto previsto dalle normative nazionali attuali e dallo stesso Piano Rifiuti della Polverini, che smentisce clamorosamente se stessa. Del resto, la sola esistenza di un Piano per Roma redatto dopo l’approvazione di quello regionale suona come una severa bocciatura dell’operato di Polverini e della sua giunta, come peraltro chiaramente affermato dallo stesso Clini, secondo il quale dal Piano rifiuti regionale "non è ricavabile la soluzione a regime per la gestione dei rifiuti a Roma".

Di fronte a una vergognosa ulteriore proroga di Malagrotta fino al prossimo 31 dicembre, prosegue quella che Clini definisce una “grave procedura di infrazione in cui l'Unione europea ci chiede perché nella capitale non si riesca fa re quello che si fa in altre capitali europee, ovvero differenziata, recupero dei rifiuti e recupero energetico”.

Altrove, amministratori capaci ottengono risultati importanti: il comune di Salerno, per esempio, è riuscito a passare, in un solo anno, dal 14 per cento al 50 per cento nella raccolta differenziata dei rifiuti ed anche Napoli in pochi mesi ha compiuto notevoli progressi.

A Roma, invece, si brancola ancora nel buio e, riguardo al sito “provvisorio”, aleggiano le ipotesi più disparate: dai siti militari di Allumiere, Torre Astura e Castel Madama (sui primi due, però, insisterebbero vincoli di carattere paesaggistico) a Pian dell’Olmo, località che si trova nel XX Municipio di Roma e del tutto inutilizzabile, essendo anch’essa a grave rischio esondazione secondo l’Autorità di Bacino del Tevere. Inoltre, Pian dell’Olmo verrebbe presto esaurita perché potrebbe contenere circa ottocentomila tonnellate di rifiuti, ovvero quello che Roma produce, ai ritmi attuali, in circa un semestre. Infatti, su cinquemila tonnellate prodotte quotidianamente dalla capitale, solo mille sono riciclate attraverso la raccolta differenziata. Ergo, quattromila finiscono ancora in discarica e oltre mille sono costituite da rifiuti “tal quale”, in barba a ogni norma europea e al rispetto della salute dei cittadini.

Tristemente, mentre negli Stati Uniti una metropoli come San Francisco propone e realizza un innovativo modello di “rifiuti zero”, nella capitale d’Italia non si riesce nemmeno a rispettare le Direttive europee, mettendo in pratica tecnologie che risalgono ormai a qualche decennio fa e che, non essendo per nulla avveniristiche, rappresentano solo il minimo indispensabile in un Paese civile.

sabato 24 marzo 2012

Processi lunghi, processo all’Italia


pubblicato da LIBERTIAMO


Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha stigmatizzato per l’ennesima volta lo scandaloso e terribile malfunzionamento della giustizia italiana, emettendo un giudizio di netta condanna: «La situazione concernente l’eccessiva durata dei processi e il malfunzionamento del rimedio (legge Pinto, ndr) esistente è estremamente preoccupante e richiede l’adozione urgente di misure su larga scala in grado di risolvere il problema». E’ un giudizio severo e, al tempo stesso, coerente con le condanne giudiziarie più volte emesse dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo,presso la quale sono già pendenti oltre duemila casi contro il nostro Paese: un numero che continua a crescere per l’eccessiva durata dei processi e i tempi troppo lunghi dei relativi risarcimenti, regolati appunto dalla legge Pinto.

Nell’impietoso documento approvato dal Consiglio d’Europa, il funzionamento attuale della giustizia italiana «costituisce un serio pericolo per il rispetto della supremazia della legge, che risulta in una negazione dei diritti sanciti dalla convenzione europea dei diritti umani e crea una minaccia seria per l’efficacia del sistema che sottende alla stessa convenzione».

Sono parole che fanno rabbrividire e, di fronte ad esse, Marco Pannella ha deciso di riprendere la sua lotta non violenta: «Prendo la decisione – che non è solita e deve essere eccezionale – di iniziare uno sciopero della fame ad oltranza. La mia è una risposta, una decisione che prendo sulla base della notizia che ci è giunta dal Consiglio d’Europa oggi (lo scorso 14 marzo, ndr). O si danno un obiettivo che sia intellettualmente onesto paragonare all’amnistia e all’indulto – vasti e immediati – o noi continueremo ad oltranza la nostra lotta, non motivata dall’esasperazione» bensì «dalla speranza forte che riusciremo a venire a termine di questa situazione criminale che connota la realtà formale e sostanziale della giustizia italiana. Si continua a parlare delle carceri , e nessuno mi può rimproverare di non averne parlato evidentemente , – ha aggiunto Pannella – ma questo è un modo che le istituzioni italiane, le forze politiche e gran parte del mondo ‘democratico hanno per eludere in modo ignobile un altro fatto sul quale la giurisdizione europea e noi insistiamo da trent’anni. Le condanne del Consiglio d’Europa riguardano ciò che fa meno impressione quando la si enuncia: la lunghezza irragionevole dei processi!».

E’ un richiamo molto forte al ministro Paola Severino, al premier Mario Monti, ma soprattutto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che il 28 luglio dello scorso anno, nel corso del convegno promosso dal Partito Radicale, parlò di «una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile».

Dieci milioni di processi intasano i tribunali e producono cinquecento prescrizioni al giorno: l’arretrato è impossibile da smaltire. Nello stesso tempo, le carceri italiane producono decine di suicidi, sia tra i detenuti che tra gli agenti di custodia. Del resto, siamo i peggiori in Europa per sovraffollamento, ma è solo un esempio del drammatico stato delle carceri.

L’unica soluzione è un’amnistia che possa ridurre per i tribunali il peso immane di un arretrato impossibile dasmaltire e che sia la necessaria premessa di una più ampia riforma dellagiustizia.

Per rilanciare queste istanze, i Radicali organizzeranno la “Seconda Marcia per l’amnistia,la giustizia e la legalità” nel giorno di Pasqua, il prossimo 8 aprile. La Prima si svolse nel 2005, a Natale, e, come allora, anche questa volta a guidarla ci sarà, assieme ai Radicali, il più celebre nonviolento italiano: Marco Pannella.

Nota della Redazione: anche Benedetto Della Vedova ha dato la sua adesione alla marcia.

venerdì 23 marzo 2012

Un ricordo di Tonino Guerra


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


E’ venuto a mancare Tonino Guerra, celebre poeta e fra i massimi sceneggiatori del cinema italiano. Le sue condizioni di salute si erano aggravate nelle ultime settimane; il poeta era tornato da tempo a vivere nella sua Sant’Arcangelo di Romagna, dove era nato nel 1920 ed è stato assistito fino alla fine dal figlio Andrea, rinomato musicista per il cinema.

I più lo ricordano come autore di tanti capolavori cinematografici, a partire da Amarcord, in cui Guerra seppe rievocare i ricordi d’infanzia romagnoli suoi e di altri amici, veri o inventati, e Fellini riuscì a trasporli, in maniera mirabile trasfigurandoli in sogno.

Tonino Guerra collaborò con Fellini su altri film (E la nave va, Ginger e Fred) ma si affermò nel cinema scrivendo alcune delle più importanti opere di Michelangelo Antonioni: innanzitutto, la cosiddetta “trilogia sull’incomunicabilità”: L’avventura, La notte L’eclisse. Le sedute di sceneggiatura si tenevano sul terrazzo della casa romana di Guerra a Piazzale Clodio, poi abitata per anni anche dal figlio, e lì nacquero altri capolavori come Deserto Rosso, Blow Up, Zabriskie Point. Antonioni e Guerra continuarono sempre insieme fino agli ultimi film, girati quando il regista ferrarese era stato già colpito da una grave malattia: Al di là delle nuvole e l’episodio del film collettivo Eros.

Un altro incontro importante per Guerra fu quello con il greco Theo Anghelopoulos (tragicamente scomparso di recente): scrissero insieme sette film: da Il Volo con Marcello Mastroianni nel 1986 fino al recente La polvere del tempo del 2008, passando per la Palma d’Oro di Cannes del 1998, L’eternità e un giorno.

Da ricordare anche il connubio fra Guerra e Francesco Rosi: iniziarono con Uomini contro, adattamento del bellissimo Un anno sull’altopiano di Emilio Lussu, per proseguire con Il Caso Mattei, Lucky Luciano e tutti i successivi film del maestro napoletano fino all’ultimo, La Tregua, tratto dal romanzo di Primo Levi e prodotto dal compianto Leo Pescarolo.

La carriera cinematografica di Tonino Guerra non si limita a quanto ricordato fin qui e, fin dal suo esordio con Giuseppe De Santis (Uomini e Lupi), molti fra i più importanti registi si sono avvalsi della sua penna: Mario Monicelli, Marco Bellocchio, Elio Petri, Vittorio De Sica, Andrej Tarkvoskji, Paolo e Vittorio Taviani, Amos Gitai, Giuseppe Tornatore.

Nonostante il successo nel cinema, Tonino Guerra si considerava innanzitutto un poeta. Un Guerra venticinquenne sottopose i suoi primi versi a Carlo Bo, che dimostrò di apprezzarli: I scarabócc ("Gli scarabocchi") con prefazione dello stesso Bo e scritti in dialetto romagnolo, a cui seguirono La s-ciuptèda ("La schioppettata"), I bu ("I buoi"), Il miele e Quartett d'autonn. Compose i primi versi quando, poco più che ventenne, si ritrovò internato in un campo di concentramento tedesco e mantenne sempre, anche nel cinema, una fortissima e inconfondibile vena poetica. La poesia traspariva sempre nei suoi film, in una celebre scena di Amarcord un muratore si sfoga: “Mio nonno fava i mattoni, mio babbo fava i mattoni, fazzo i mattoni anche me', ma la casa mia n'dov'è?”

Guerra scrisse molto anche in lingua italiana: la serie dei libri per l’infanzia Millemosche con Luigi Malerba, diversi libri di poesia, raconti, diari, favole, romanzi .

Tonino Guerra fu, sia in cinema che in letteratura, un vero poeta della sua terra e lo ricordiamo con questi versi in romagnolo, il “Canto quinto” de Il Miele.

Cantèda zóinch
Pirìn dagli Évi l'à e' nóm de su por bà
che a la su volta l'éva quèl de nòn,
insòma i Pirin dagli Évi in finés mai
e i féva un mél
ch'l'éva l'udòur dla ménta.
La chèsa a mèza còsta,
la è dalòngh da e' paàis e da la vala.

Vuìlt a n savói che in Amèrica, in primavéra,
u i è i tréni ch'i pasa tal pianéuri quérti 'd móil e pésgh
e i pórta i bózz sagli évi
ch'al fa al rufièni da fiòur a fiòur
chè i rèm i n s móv par fè a l'amòur
e i n'aróiva a sguzlè tal campanèli.

Quèst l'è e' mistir che fa Pirìn in primavéra:
e porta i bózz in ziréun tla campagna
e pu l'aspèta tl'òmbra che i chéul dagli évi,
lòvvi e smanèdi, i mètta incinta i fiéur.
Ecco parchè e' nas i frótt
se no u n gn'i sarébb nè màili, nè pésghi e iniquèl.

Canto quinto
Pierino delle Api ha il nome di suo padre
che a sua volta aveva quello del nonno,
insomma i Pierino delle Api non finiscono mai
e facevano miele
con l'odore della menta.
La casa, a mezza costa,
è lontana dal paese e dalla valle.

Voi non sapete che in America, a primavera,
ci sono i treni che passano nelle pianure di meli e peschi
e portano le arnie delle api
che fanno da ruffiane da fiore a fiore
perché i rami non si muovono per fare all'amore
e non arrivano a sgocciolare dentro le campanule.

Questo è il mestiere che fa Pierino in primavera:
porta le arnie in giro nelle campagne
e poi aspetta all'ombra che i culi delle api,
golose e impazienti, ingravidino i fiori.
Ecco perché nascono i frutti, altrimenti
non ci sarebbero né mele, né pesche, più niente.

venerdì 16 marzo 2012

La bomba ecologica di Renata Polverini


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


Lo ha ammesso, lunedì scorso,lo stesso ministro Clini: Roma rischia di cadere, già nei prossimi mesi, in un’emergenza nella gestione dei rifiuti paragonabile a quella occorsa a Napoli, una vera e propria "bomba ecologica".
La discarica di Malagrotta serve Roma da oltre trent’anni ed è tecnicamente “incapiente” (ovvero esaurita) già dallo scorso decennio. Si è creata, infatti, una collina di rifiuti, alta più di cinquanta metri ed estremamente problematica da gestire. A questo, si aggiunga che, fino ad oggi, vengono sversate a Malagrotta migliaia di tonnellate di rifiuti “tal quali”, in totale violazione delle normative europee e delle leggi italiane, che imporrebbero il trattamento dei rifiuti (realizzato solo in minima parte). Malagrotta andrebbe chiusa da molto tempo e negli anni si sono succedute le proroghe: l’ultima durerà fino a giugno. Ma sarà probabilmente da rinnovare, mentre l’Europa è arrivata ormai a un passo dalle sanzioni, sottoforma di salatissime multe.
Il piano dei rifiuti approvato recentemente dal Consiglio Regionale del Lazio e fortemente voluto dalla Polverini prevede di realizzare un sito definitivo,con tanto di inceneritori , nel comune di Fiumicino, in località Pizzo del Prete. Per realizzare l’impianto, però, saranno necessari, nella migliore delle ipotesi, due o tre anni. Nel frattempo, il piano prevede di chiudere Malagrotta e di servirsi di una serie di siti provvisori, una sorta di “mini” discariche con cui tappezzare la provincia di Roma.
La Presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, ha tentato di liberarsi della patata bollente, invocando la nomina di un commissario, ed è stata accontentata dal governo Berlusconi con la nomina del prefetto Giuseppe Pecoraro. Il commissario ha individuato due siti alternativi per realizzare discariche “temporanee” (le virgolette sono d’obbligo, perché si parla di tre anni almeno): uno situato a Corcolle (San Vittorino), l’altro a Quadro Alto, nel comune di Riano. Entrambi presentano, però, notevoli problematicità.
Il sito di Corcolle si trova a poche centinaia di metri da Villa Adriana, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Inoltre, la proprietà della cava in cui dovrebbe sorgere la discarica è legata a oscure società estere e nemmeno il prefetto Pecoraro è riuscito a fare chiarezza. Resta da chiedersi come si possa immaginare di collocare una discarica a qualche centinaio di metri da uno dei massimi monumenti nazionali.
Il sito di Riano, nella località Quadro Alto, è persino più assurdo: si tratta, infatti, di una cava di tufo, materiale noto per l’elevata permeabilità, sopra il quale nessuno penserebbe mai di interrare rifiuti, inquinanti per definizione. Inoltre, a differenza di quanto dichiarato nei documenti della Regione Lazio, la cava non è dismessa e dà lavoro a un centinaio di dipendenti. Il marchiano errore è stato reso possibile dalla superficialità dei responsabili della Regione: lo “studio tecnico” risulta essere un mero “copia e incolla”, basato sulla richiesta presentata alla Regione Lazio (e già respinta nel 2009) dalla Colari di Manlio Cerroni, monopolista da decenni nella gestione dei rifiuti romani e proprietario non solo della famigerata discarica di Malagrotta.
Risultano errate, nei pasticciati documenti regionali, anche le distanze dalle abitazioni, fissate per legge in minimo 700 metri dalle case sparse e 1500 metri dal centro abitato. Quello di Monteporcino è molto meno distante. Ma non finisce qui. I più recenti rilievi (carotaggi) hanno evidenziato la presenza di numerose falde acquifere: l’inquinamento da discarica (percolato) rischierebbe di essere trascinato per decine e decine di chilometri, il rischio è letale per gran parte della città.
Ad assicurarsi la proprietà del sito, arriva l’onnipresente Cerroni che si oppone ai decreti di esproprio, predisposti nel frattempo dal prefetto.
Inizia la rivolta civile dei cittadini: si formano comitati dai diversi colori politici, si tengono numerose manifestazioni e il sito di Quadro Alto viene permanentemente occupato dai coraggiosi rianesi, in difesa del loro territorio.
E’ intervenuta la magistratura: prima il TAR (di fronte al quale pendono tantissimi ricorsi, da parte di partiti, associazioni politiche e ambientaliste, imprenditori (fra cui i gestori della cava e il solito Cerroni) , comitati locali, privati cittadini; poi la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta sui criteri di scelta dei siti e ha incaricato i carabinieri del Noe (fra cui il capitano “Ultimo”) di rilevare la distanza dei siti dalle abitazioni.
Come se non bastasse, nella Conferenza dei Servizi (che doveva dare il via libera alla discarica di Corcolle, essendo ancora in corso accertamenti su Riano) il presidente della provincia Zingaretti blocca tutto con il suo potere di veto.
In mezzo a questo bailamme, la Polverini perde completamente la bussola e arriva ad accusare la magistratura di interferenze, quasi fosse colpevoledi indagare: un atto gravissimo da parte della presidente di una Regione.
Interviene, finalmente, il Governo: il ministro Clini convoca per un vertice la Polverini, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della provincia Nicola Zingaretti e il prefetto Pecoraro.
Le dichiarazioni ufficiali parlano di approfondimenti da effettuare su tutti i sette siti inizialmente individuati dalla Regione (e non solo sui due scelti da Pecoraro). Le indiscrezioni giornalistiche riportano che la scelta sarebbe già stata fatta: Monti dell’Ortaccio, l’ennesimo sito di proprietà di Manlio Cerroni, l’unico a richiedere tempi di approntamento relativamente rapidi e tali da poter chiudere per tempo Malagrotta. Ma c’è una controindicazione: Malagrotta dista poche centinaia di metri da Monti dell’Ortaccio.
Che esito avrà, a questo punto, il Piano Rifiuti della Polverini? Se ne sono occupati i consiglieri regionali radicali alla Regione, Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo, coadiuvati da Massimiliano Iervolino (autore del libro-inchiesta “Con le mani nella monnezza”, ed. Reality Book). Il Piano contravviene, furbescamente, agli obblighi sulla raccolta differenziata e anche il sito che si vorrebbe definitivo, Pizzo del Prete, presenta numerose controindicazioni.
Torneremo ad occuparcene presto, dalle colonne di questo giornale.

domenica 11 marzo 2012

Una questione urgente sul piano costituzionale e civile Dov’è finita la voglia di risolvere i problemi delle carceri italiane?


pubblicato da L'IDEALE


Il Presidente Napolitano, per denunciare il disumano e criminale stato delle carceri italiane, parlò, la scorsa estate, di “questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”, ma si è poi dileguato, lasciando il solo Marco Pannella a lottare nonviolentemente, insieme a Radicali come Rita Bernardini e Irene Testa, per il ripristino della legalità.
I numeri sono impietosi: 67.000 detenuti a fronte di 44.000 posti disponibili, 7.000 agenti mancanti, oltre il 40% dei detenuti in attesa di giudizio (una percentuale doppia rispetto al resto dell’Europa), mentre le morti violente sono circa il quadruplo rispetto agli Stati Uniti. Per il sovraffollamento, invece, il nostro Paese è secondo solo alla Serbia nella triste classifica. Per fare un esempio, il carcere di Poggioreale ospita 2.700 detenuti a fronte di 1.200 posti.
Negli ultimi dieci anni, anche ottanta agenti di custodia si sono tolti la vita: il dramma delle carceri non appartiene solo ai detenuti. Ma, purtroppo, anche i sindacati, dopo aver più volte denunciato la gravità della situazione, hanno perso ogni capacità di iniziativa e sono precipitati nel sonnambulismo, al pari del Parlamento e di tutti i partiti, con l’unica meritoria eccezione dei Radicali.
Continua impietosamente il drammatico fenomeno dei suicidi in carcere: sono stati 63 nel 2011, mentre quest’anno siamo già a quota 14.
Il recente decreto “svuota carceri” è solo una misura palliativa che non porterà a nulla: è troppo limitata per riportare la giustizia italiana nell’alveo della legalità e del diritto. Soprattutto, il problema non è limitato solo alle carceri: tutto il sistema giudiziario è allo sfascio. L’arretrato da smaltire ammonta ormai a oltre nove milioni di processi e raggiungerà, di questo passo, i dieci milioni: processi che, in larga parte, non verranno mai celebrati, perché interrotti dalla prescrizione, una vera e propria “aministia di classe”. Le prescrizioni sono ormai centottantamila l’anno e il vicepresidente del Csm Michele Vietti ha dichiarato: “Stop alla prescrizione che premia l'imputato”.
Nel migliore dei casi, i cittadini dovranno aspettare molti anni per ottenere una sentenza, mentre sono troppi i “reati senza vittime”, come quelli previsti dalle leggi Fini-Giovanardi e Bossi-Fini, che criminalizzano migliaia di persone per fatti che, presi a sé, non provocano nessun danno alla società.
L’unica via di uscita è l’amnistia proposta da Pannella, come primo doveroso passo di una necessaria riforma della giustizia, che preveda depenalizzazioni dei reati minori, la discrezionalità dell’azione penale, sulla depenalizzazione dei reati minori, sull’ampliamento delle misure alternative alla detenzione e sull’antiproibizionismo.
E’ venuta l’ora di intervenire urgentemente con l’amnistia per la Repubblica Italiana, che non può più permettersi di rimanere illegale e criminale, contravvenendo alle sue stesse leggi e alle norme basilari del diritto.
Il Presidente Napolitano ha il dovere di usare pienamente i suoi poteri costituzionali e di inviare un messaggio alle Camere, per ripristinare la legalità in una Repubblica condannata non solo dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, ma dai suoi stessi tribunali.
Voltaire scrisse: "Tu continui a parlarmi degli archi e dei costumi della tua gente per convincermi di quanto siano buone le leggi civili e i comportamenti dei tuoi paesi (...) No, amico mio, parlami di come funzionano i tribunali e soprattutto delle carceri e di come ci vive e ci muore la gente".
La riforma della Giustizia e delle carceri, a partire dall’amnistia, è una battaglia liberale. E’ la battaglia di Marco Pannella e dei Radicali.

mercoledì 7 marzo 2012

L'intellettuale collettivo radicale


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


Nella dizione gramsciana, “intellettuale collettivo” è “un elemento di società complesso nel quale già abbia inizio il concretarsi di una volontà collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente nell'azione”. Il concetto di intellettuale collettivo è, per Antonio Gramsci, strettamente connesso al partito operaio e all’intellettuale organico: “…si forma un legame stretto tra grande massa, partito, gruppo dirigente, e tutto il complesso, ben articolato, si può muovere come un uomo collettivo”.
Lo stesso concetto gramsciano è stato brillantemente rievocato, sotto una nuova luce, da Pier Paolo Segneri, anche su questo giornale. Bisogna, però, non farsi fuorviare dalle elaborazioni gramsciane, che vanno superate e rinnovate, seguendo il metodo e la cultura liberali. Non è un esercizio facile e, soprattutto per chi già ne conosce il pensiero, incombe il rischio di attribuire al solo Gramsci una sorta di monopolio sulla dizione di “intellettuale collettivo”, che può essere, invece, reinterpretato in chiave liberale.
L’intellettuale collettivo dovrebbe occuparsi di una ricerca comune della verità e dovrebbe portare alla fine di una cesura netta fra intellettuale della ricerca e chi pratica e mette in atto l'azione militante, perché una politica nuova, necessariamente diversa da quella del passato, prevederà una nuova figura di intellettuale-politico-militante, come inevitabile conseguenza dell'acculturamento di un numero crescente di cittadini. Esiste, dunque, un’intelligenza collettiva, ovvero un'intelligenza distribuita ovunque e diffusa attraverso i nuovi media, mediante i quali si possono creare necessarie e interessanti sinergie, condividendo, per l'appunto, conoscenze che possono essere scambiate superando tutte le distanze linguistiche, fisiche e culturali, perché messe "in rete". I computer e internet sono mezzi in grado di aumentare non solo la cooperazione degli individui, ma anche quella delle organizzazioni collettive umane: dove c'e' umanità, c'e' intelligenza e questa può essere messa in sinergia proprio attraverso i nuovi media. La connessione è diventata un fattore preponderante: esiste, quindi, un’intelligenza non solo collettiva, ma connettiva, che attraverso la rete può diventare un moltiplicatore di intelligenze ed esiste un intellettuale collettivo nel senso di essere umani e computer connessi in un ciberspazio, collegando umani e computer in una maniera nuova, tale da portare l'intellettuale collettivo ad agire più intelligentemente rispetto a prima.
Un intellettuale collettivo liberale può certamente essere – dal mio punto di vista – un intellettuale collettivo radicale.
La capacità di confronto, di dibattito, di produzione del sapere costituiscono il nostro intellettuale collettivo, intrinsicamente collegato, in ambito radicale, alla forma-partito ovvero alla galassia radicale: un modello unico e peculiare che costituisce un elemento di originalità dei Radicali. Di fronte a un quarantacinque per cento di possibili astenuti alle prossime elezioni, i Radicali devono rappresentare un'alterità rispetto al Regime imperante, che si perpetua attraverso una “metamorfosi del male”, configurandosi in nuovi e vecchi “poli”.
Esiste tutto lo spazio per costruire qualcosa di nuovo, per mutare l'esistente, superando la pura e semplice gestione del presente e la perniciosa logica della sommatoria elettorale.
Mi pare evidente che l'intellettuale collettivo sia già presente nella galassia radicale, ma che esso necessiti, per raggiungere una forma organizzata, di una leadership carismatica, quella del demiurgo Marco Pannella, che ha recentemente dichiarato: “… dopo 50 anni di nostre lotte, noi che siamo formati come quasi tutti come ‘militonti’ sui referendum e altro, siamo in condizione forse - se viene il turno del territorio italiano di ribellarsi contro un regime – di far sì che la nostra presenza sarà la differenza rispetto a tutte le altre situazioni. Cioè è pronta l’alternativa, il contenuto di prospettiva”.
Come Radicali possiamo essere ancora una volta protagonisti, per fornire una risposta radicale e liberale alla gran massa degli astenuti, sulla scorta di quanto accadde già nelle europee del 2009, quando in condizioni assolutamente avverse, presentandosi come alternativa al Regime, arrivarono più voti della fu Rosa nel Pugno.

martedì 28 febbraio 2012

Come uscire dalla spirale del debito degli Stati?


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


L’Unione Europea presenta un deficit di democrazia e la crisi europea è politica ed istituzionale: il problema della “governance” di un’Europa davvero unita e federale è reso ancora più evidente dalla crisi dei debiti sovrani che si è manifestata. L’Euro ha permesso alla Banca Centrale Europea di emettere liquidità, ma non ha avuto una tesoreria comune in grado di affrontare il rischio di insolvenza dei debiti sovrani in tempo di crisi.
Sarebbe necessaria, dunque, una struttura che abbia poteri e controlli federali con la sovranità per governare, ad esempio, un eventuale consolidamento o una rinegoziazione dei debiti. Invece, l’ESM (European Stability Mechanism, il cosiddetto “fondo salva-Stati”) con il suo carico di segretezza ed immunità giuridica e fiscale non sembra affatto fornire garanzie di trasparenza e di democraticità.
La crisi dei debiti sovrani non è, però, un problema solo politico, né tantomeno solo europeo, basti pensare agli Stati Uniti d’America; nel persistente quadro di insufficienza delle istituzioni europee, è doveroso cercare comunque una soluzione a una crisi economica paragonabile, per molti versi, a quella iniziata nel 1929.
Il programma delle autorità finanziarie europee, il Long-Term Refinancing Operation (LTRO) messo a punto dalla Banca Centrale Europea, presenta un’evidente stortura: mette a disposizione delle banche europee, e non degli Stati, liquidità illimitata per un periodo di tre anni, consentendo alle banche private di investire in titoli di stato ad alto rendimento, ben sapendo di non correre nessun rischio reale, perché il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria garantirà la solvibilità degli Stati debitori e, qualora non lo facesse, la banche sarebbero comunque insolventi in caso di “default” sui titoli di Stato.
A fronte di questo, vengono chiesti sacrifici sempre più pesanti ai cittadini dell’Unione Europea ed a quelli di alcuni Paesi in particolare. Come ha scritto George Soros “in un modo o nell’altro, è la Germania a dettare la politica Europea perché in temi di crisi i creditori siedono al posto di guida”, ma è concreto il rischio di avviare, seguendo la virtuosità tedesca, una spirale di recessione con deflazione, salari e profitti sotto pressione, contrazione dell’economia, crollo delle entrate fiscali e conseguente esplosione del rapporto fra debito e prodotto interno lordo.
La strada da seguire è un’altra.
Come negli Stati Uniti la Federal Reserve, per salvare il sistema finanziario, ha prestato alle banche private centinaia di miliardi, così in Europa l’ESM, in prima battuta o attraverso la Banca di Investimenti Europea (BEI), dovrebbe farsi garante di ultima istanza verso la BCE riguardo al rischio di insolvenza degli Stati in crisi, Italia e Spagna in primis. I titoli di stato verrebbero, conseguentemente, emessi a un tasso molto basso (anche inferiore all’uno per cento) e le banche potrebbero detenere i titoli, usandoli come fossero liquidità. In tal modo, i tremendi costi degli interessi sul debito scenderebbero a picco e troppo spesso ci si dimentica di ricordare che il bilancio dell’Italia è in avanzo primario ovvero il Paese sarebbe in attivo se non dovesse pagare montagne di denaro per coprire i costi finanziari. Il nuovo debito contratto dagli Stati europei finisce oggi, in massima parte, per rifinanziare quello vecchio (per esempio, nel 2012 il settantacinque per cento circa del debito francese servirà a rinnovare precedenti debiti in scadenza).
Michel Rocard, già primo ministro francese e sostenitore della rinegoziazione dei debiti pubblici, ha di recente dichiarato: “...è urgente inviare ai cittadini un segnale molto chiaro: l’Europa non è nelle mani delle lobby finanziarie. È al servizio dei suoi cittadini”.
Invece, oggi, travolto dai tassi di interesse, il Governo è costretto ad una politica di austerità che non solo si tramuta in un’evidente ingiustizia sociale, ma rischia di trascinarci in una recessione ancora più grave di quella che stiamo già vivendo.

lunedì 30 gennaio 2012

Il decreto Severino è la terapia antalgica, l’amnistia la cura sistemica


pubblicato il 28 gennaio 2012 da LIBERTIAMO


Le prime tre cariche dello Stato sono d’accordo su una cosa: lo stato delle carceri italiane è del tutto intollerabile. Il Presidente Napolitano ha parlato, già quest’estate, della necessità di porre rimedio al problema come di una “prepotente urgenza” e sono seguiti, negli ultimi mesi e settimane, gli appelli di Renato Schifani e di Gianfranco Fini.
Oltre sessantacinquemila detenuti affollano oggi le carceri che ne potrebbero ospitare al massimo quarantatremila, mancano oltre ottomila agenti di custodia, tutte le altre figure professionali (medici, educatori, psicologi, infermieri, magistrati di sorveglianza) sono sotto organico. Tra un quinto e un quarto di quanti stanno in galera – poco meno della metà del totale dei detenuti è infatti in attesa di giudizio – sappiamo già (statisticamente) che saranno assolti. Il carcere italiano, insomma, “funziona” mettendo a preventivo una quota abnorme di ingiuste detenzioni, scontate per lo più in condizioni disumane.
Il recente decreto presentato dalla ministra Severino è solo un timido passo in avanti. La chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) e l’estensione della detenzione domiciliare, che contribuirà ad evitare il triste fenomeno delle “porte girevoli” e manderà anticipatamente a casa qualche migliaio di detenuti, rappresenta la terapia antalgica, non la cura sistemica. Tratta alcuni sintomi dolorosi, ma non la malattia, né le sue cause, visto che lo sfascio delle carceri è legato a quello del sistema penale (cioè a come non funziona la giustizia, al modo in cui è intesa e malintesa la pena, alla funzione impropria che è ormai “di fatto” socialmente attribuita alla detenzione…).
L’arretrato da smaltire ammonta ormai a circa nove milioni di processi, 5,5 civili e 3,4 penali. Quelli penali, in parte, non saranno mai celebrati e saranno interrotti dall’“amnistia di classe” della prescrizione. Quelli civili, appesantiti da ritardi secolari, contribuiranno a rendere l’Italia un Paese sempre meno competitivo. La Banca d’Italia, in un recente studio, ha stimato che l’inefficienza della giustizia civile costa l’uno per cento del PIL (in Italia un credito commerciale si recupera in 1.120 giorni contro i 394 della Germania).
L’amnistia, da questo punto di vista, non è una “resa”, ma una via d’uscita dal circolo vizioso dell’inefficienza. Non è la “riforma”, ma la premessa essenziale per fare le riforme che servono, nel civile, come nel penale. Lo ha ammesso apertamente Antonio Buonaiuto, Presidente della Corte d’Appello di Napoli, che ha dichiarato mercoledì scorso che “il rimedio principale sarebbe un’amnistia per eliminare gli arretrati che sono un debito pubblico, un fardello che abbiamo. Naturalmente si lascerebbero fuori i reati più gravi, ma bisogna avere il coraggio di dirle queste cose…” E’ un’opinione sempre più diffusa fra gli addetti ai lavori, i magistrati, gli avvocati, le forze dell’ordine, la polizia penitenziaria: ormai da tempo non è più il solo Marco Pannella a proporre la necessaria amnistia.
La ministra Severino ha giustamente ricordato che la responsabilità è del Parlamento: la sovrana assemblea della Repubblica che, qualche mese fa, si è perfino rifiutata di discutere del problema, e che non sembra, per così dire, propensa ad esaminare la soluzione. Ma l’amnistia sarebbe davvero, come dicono i radicali, anche una “amnistia per la Repubblica”, per restituire cioè il sistema penale ad una ragionevole efficienza e difendibile legalità.

Ripensare il liberalismo, per evitare la frammentazione


pubblicato il 7 maggio 2011 da LIBERTIAMO


Il pensiero liberale ha dimostrato, nel corso degli anni e dei secoli, una notevole capacità di evolversi: non è rimasto fermo a John Locke o a John Stuart Mill.
Proprio per la notevole capacità di autocritica, evoluzione e miglioramento che ha saputo dimostrare, il liberalismo può costruire la base per un nuovo modo di pensare e di realizzare la politica, adeguando le intuizioni e le filosofie dei grandi pensatori di ieri alla dinamica della realtà attuale: da qui può scaturire una nuova alterità liberaldemocratica dirompente e rinnovatrice.

Le categorie novecentesche debbono essere attualizzate, affinché dalle ideologie del XX Secolo possa emergere qualcosa di nuovo e di adeguato alla contemporaneità: una grande alleanza proposta politica liberale, socialdemocratica ed ecologista, sul modello del partito di Nick Clegg in Gran Bretagna o di quello di Guido Westervelle in Germania.

Se da un lato i vecchi identitarismi di stampo novecentesco costituiscono, a tutt’oggi, un serio ostacolo ad un nuovo “Risorgimento liberale”, dall’altro i partiti laici della Prima Repubblica seppero, talora, condizionare pesantemente la DC, fin dai tempi del centrismo degasperiano, per arrivare al primo “centro-sinistra” (1962-63) o alle lotte civili degli anni Settanta (divorzio, assistenza medica all’aborto, obiezione di coscienza). I loro eredi, però, sono oggi marginalizzati e sarebbe ora di invertire la rotta, schivando il serio rischio dell’aggregazione elettorale fine a se stessa: Girasoli, Elefantini e tanti altri obbrobri della partitocrazia recente.

E’, quindi, urgente un terreno di dibattito filosofico e culturale che sappia costruire un’alterità al monopartitismo e alla malapolitica italiana, senza pensare alla pura e semplice sommatoria dell’esistente.
Il pensiero liberale, inteso nella sua accezione più ampia (dal socialismo liberale di stampo rosselliano al liberismo hayekiano), può essere la base per creare un’alterità politica che, in quanto tale, deve per forza sfociare in un’alterità di idee. Il pensiero liberale attraversa, come un fiume carsico, le varie formazioni politiche presenti oggi in Italia, ma esso rimane non determinante e spesso sconosciuto: la politica economica liberale resta costantemente travolta dal centralismo statalista, in campo etico e sociale i diktat vaticani prevalgono trasversalmente.

I liberali presenti nell’agone politico sono emarginati nei partiti di massa, mentre i piccoli partiti di opinione stentano a sopravvivere. Di fronte a questa emarginazione politica, i liberali di ogni estrazione debbono unirsi per affrontare la sfida del nuovo. Tra i filosofi e pensatori politici del passato, nemmeno i migliori potevano immaginare i problemi del mondo attuale, ma la risposta può da un rinnovamento del pensiero liberale.
Per garantire le libertà, ma allo stesso tempo i diritti, occorrono le idee liberali, che sappiano essere laiche, liberalsocialiste e liberiste al tempo stesso.

La flexsecurity di modello danese è socialista?
Si tratta, a mio avviso, del più moderno strumento per modernizzare e razionalizzare il sistema del welfare.
La capitalizzazione individuale cilena è iperliberista?
Rappresenta il modello più equo e competitivo per innovare il sistema pensionistico, evitando che si trasformi in una valanga destinata a travolgere tutti o a lasciare molti a bocca asciutta.

Attraverso questi due concreti esempi, sostengo la necessità di creare un’alterità riformatrice e politica che, seppure ispirata dai grandi pensatori liberali, possa evolversi oltre la “dottrina” del XIX e XX Secolo.
Non è più tollerabile assistere alla dissoluzione dei liberali in politica, né che gli eredi della grande tradizione laica di Croce, Rosselli, Saragat, Pannunzio, Ernesto Rossi e Ugo La Malfa debbano disperdersi in una miriade di formazioni più o meno influenti, all’interno di un sistema di potere illiberale e non democratico.