lunedì 13 dicembre 2010

La provocazione pannelliana, tra incomprensioni e risultati


pubblicato da LIBERTIAMO


E’ bastato che Marco Pannella chiedesse, provocatoriamente, il permesso di dialogare con Berlusconi per scatenare l’ennesima campagna di disinformazione aggressiva a spese dei radicali. I disinformatori (di regime, si dice a Torre Argentina) hanno subito maldestramente e disonestamente tradotto il desiderio nonviolento di dialogo con tutti, anche con i peggiori, in un inesistente tentativo di mercimonio dei voti dei deputati radicali alla Camera. A poco sono valse le precisazioni di Emma Bonino, di Rita Bernardini, dello stesso Pannella. Eppure, il metodo radicale del dialogo dovrebbe essere già visto e già sentito, persino scontato, se negli anni di piombo si rivolgeva persino ai “compagni assassini” del terrorismo rosso: è lo stesso metodo nonviolento che porta Marco a mettere a repentaglio la propria vita pur di salvare quella di Tarek Aziz e di altri “Caini” iracheni.

Oggi, più modestamente, si tenta un dialogo con il Partito Democratico. Nonostante le belle parole di Bersani nell’VIII Congresso di Radicali Italiani e quelle di Rosi Bindi nel IX, la strada è ancora decisamente in salita. Da parte piddina, le pratiche antiradicali sono ormai una costante: il divieto della candidatura di Pannella alla segreteria del partito, i veti elettorali al simbolo radicale e a tre suoi esponenti (Pannella, D’Elia, Viale), blocco della commissione di vigilanza RAI, la vuota e finta adesione all’anagrafe pubblica degli eletti, le elezioni per la segreteria giovanile poco trasparenti e inquinate dai brogli (come testimoniato dalla candidata radicale Giulia Innocenzi), il tradimento clamoroso degli accordi elettorali in occasione delle elezioni europee dello scorso anno, i vergognosi mercimoni del Partito Democratico sul trattato Italia-Libia e sulla cancellazione della parte del ddl Alfano che avrebbe alleviato il disastro tremendo e disumano delle carceri italiane, tristissime vicende in cui il Partito Democratico, e non i radicali, ha trovato convergenze col PdL sulla questione libica e con la Lega Nord sulle carceri.

Insomma, quando si può ottenere qualche poltrona (vedi Copasir) il PD non si ferma davanti a nulla, nemmeno ai cadaveri prodotti dall’oasi lager di Cufra o da un qualsiasi tragico carcere italiano. Ma i “compagni” democratici non si sono fermati qui. Il Partito Democratico si è ben guardato, infatti, dal coinvolgere i radicali nella discussione sulla mozione di sfiducia al premier. Ne è scaturita un’ovvia conseguenza, ovvero la mancata firma dei deputati radicali alla mozione.

Qui si inserisce, temporalmente, la provocazione pannelliana. Il dialogo con Berlusconi, ovviamente, è impossibile e Pannella lo sa benissimo. La riforma della Giustizia a partire dalle carceri (senza dimenticare la responsabilità civile dei magistrati, la separazione delle carriere, l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale), la riforma elettorale uninominale e maggioritaria, la visione radicale sui diritti civili sono qualcosa di infinitamente lontano per il Cavaliere allo sbando, i cui ultimi sussulti di liberalismo risalgono ormai agli anni Novanta. Berlusconi, seppure d’accordo su alcune richieste radicali sulla giustizia, è ormai del tutto incapace non solo di realizzarle, ma persino di paventarle.

Eppure, basta la semplice intenzione radicale al dialogo con il PDL per scatenare un putiferio, anzitutto tra militanti e sostenitori. Ma se il metodo è l’ahimsa gandhiana, se ci si rivolge non ai terroristi, questa volta, ma a un’istituzione come la Presidenza del Consiglio (seppur mal rappresentata dall’attuale occupante), come ci si può scandalizzare? Come si può criticare il comunicato di Pannella se esso chiede nient’altro che il riconoscimento dello status, per i radicali, di “interlocutori politici” ed è disposto a farselo riconoscere da chiunque, da Berlusconi a Bersani, da Bossi a Di Pietro? E come può farlo chi è o potrebbe essere radicale?

La provocazione pannelliana ha sortito nell’immediato due effetti: in primo luogo, la ripresa del dialogo con Pierluigi Bersani e con il Partito Democratico, che hanno, ancora una volta, l’occasione di provare a diventare quella sinistra liberale “all’inglese” tanto auspicata; in secondo luogo, l’annuncio del viaggio di Marco in Iraq, accompagnato dal Ministro degli Esteri, per salvare non solo la vita di Tarek Aziz e delle altre decine di condannati a morte, ma la verità sulle reali cause delle sanguinosa guerra dell’Iraq. Soprattutto il secondo risultato non pare trascurabile in un’Italia che, come Wikileaks insegna, appare sullo scenario internazionale sempre più marginale e buffonesca.

lunedì 29 novembre 2010

Le ombre rosse, i fantasmi del comunismo


pubblicato da Radicalweb

Citto Maselli è una singolare figura di intellettuale e di cineasta, uomo dalla personalità estroversa e brillante, diviso fra arte e politica. Infatti, oltre ad aver realizzato opere dal contenuto spesso strettamente politico (da Il Sospetto a Cronache del Terzo Millennio, ma questo lo hanno fatto anche altri), Maselli ha percorso, parallelamente a quella di regista, una rilevante carriera politica che lo ha portato non solo a ricoprire ruoli di primissimo piano in Italia e in Europa nelle organizzazioni dei cineasti, ma anche, caso credo unico fra i registi, a sedere nella Direzione Nazionale di un partito, quello della Rifondazione Comunista.

Le Ombre Rosse
, presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia e appena uscito in home-video, va analizzato alla luce dell’esperienza politica dell’autore, del suo essere militante e dirigente comunista. Il film, ottimamente interpretato da un variopinto cast in cui spiccano Luca Lionello ed Ennio Fantastichini, si apre con un’immagine forte e bellissima, scopertamente ispirata alle opere di una delle più grandi pittrici italiane del ‘900, Titina Maselli, sorella dell’autore. Francesco (Citto) Maselli è un intellettuale che nasce in una famiglia di intellettuali, a lui si ispira, già nell’abbigliamento, la figura del professore Sergio Siniscalchi(interpretato da uno straordinario Roberto Herlitzka), protagonista del film.

La vicenda ruota attorno ad un centro sociale. E’ qui che incontriamo Siniscalchi predicare il “recupero dell’irrazionalità”. Malignamente, mi viene da osservare che solo un recupero irrazionale può far apprezzare oggi la filosofia marxista. Non a caso, oggi il maggiore intellettuale comunista è, con ogni probabilità, il raffinatissimo letterato Alberto Asor Rosa. L’unico comunismo possibile, oggi, è un comunismo “sentimentale”: non vi sono oggi economisti marxisti di una qualche rilevanza, semplicemente perché decenni, secoli di pensiero economico (e filosofico) liberale hanno demolito l’antiscientifico e tragico marxismo.

Siniscalchi, il protagonista del film, è, come Citto, un intellettuale davvero libero e fuori dagli schemi: si propone di recuperare l’idea della Case della Cultura di André Malraux. Questo secondo recupero è a dir poco sorprendente, se si ricordano le quantità di contumelie che Malraux, da intellettuale scomodo e gollista, ricevette in vita proprio dalla sinistra marxista. Maselli lo sa benissimo e si dimostra perfettamente complice del suo protagonista: l’ultima mezz’ora è, infatti, una vera e propria demolizione della classe dirigente comunista. Passiamo dall’architetto modaiolo (Fantastichini) che ha fatto tanto arrabbiare Massimiliano Fuksas, al giovane funzionario di partito da centro sociale, dagli intellettuali isolati e poco comunicativi, alla cialtroneria del parlamentare (un “cameo” di Ricky Tognazzi).

Il finale è impietoso e speranzoso allo stesso tempo. Il centro sociale, in definitiva il vero protagonista del film, è ormai chiuso. Tre giovani si avvicinano al vecchio edificio abbandonato, iniziano a prenderne le misure e pensano a qualcosa di nuovo. La metafora è trasparente, ma posso essere d’accordo solo in parte.

Sicuramente le forze politiche, sociali, civili, culturali che hanno costituito la sinistra estrema devono aspirare a un profondo rinnovamento. Ma sono convinto che esso sarà impossibile se, come nel film, si pensa di ristrutturare la “vecchia casa”: se non si sbarazza di Marx ed Engels, la sinistra oggi comunista rimarrà marginale e settaria, sempre più distante dal cuore dei problemi della società.