martedì 8 dicembre 2009

Radicali nel Pdl: antica frequentazione. Il mistero è la diffidenza del Pd

pubblicato il 9 settembre 2009 da LIBERTIAMO


Il radicalismo è oggi, a tutti gli effetti, una componente del Popolo della Libertà, partito a vocazione maggioritaria, ben espressa nelle ultime tornate elettorali in cui il PdL si è rivelato la forza di maggioranza relativa.
Mi riferisco al radicalismo che affonda le sue radici nel partito “storico” di Cavallotti e che è poi “rinato” nella metà degli anni Cinquanta con il gruppo de Il Mondo.
I Riformatori Liberali prima e Libertiamo poi sono radicali a pieno titolo, basti scorrere i curricula politici dei fondatori, che esprimono sicuramente posizioni politiche spesso diverse, a volte molto distanti dal resto del PdL. Eppure, come ha ricordato lo stesso Silvio Berlusconi, qualche mese fa, durante l’assemblea fondativa di Libertiamo, il Popolo della Libertà è ben felice, esprimendo per l’appunto compiutamente la sua vocazione maggioritaria, di poter annoverare al suo interno i radicali liberali di Libertiamo. Del resto, le prese di posizione più “scomode” di Benedetto Della Vedova (non ultime, quella piuttosto recenti su Eluana Englaro e sul testamento biologico) hanno trovato ampia eco all’interno del PdL stesso (viene da pensare in primis a Gianfranco Fini).Le idee liberali, liberiste, libertarie sono (e, temo, resteranno) largamente minoritarie in Italia, come del resto sono sempre state. Negli anni Settanta, in cui i radicali ottennero veri e propri trionfi su temi laceranti per la società italiana di allora quali il divorzio e l’aborto, il Partito Radicale superava a stento l’uno per cento dei consensi nelle elezioni politiche. Questo dimostra che il liberalismo radicale sa essere, su alcune questioni dirimenti, un vero e proprio motore di progresso e modernità, proprio per la forza innovativa e rivoluzionaria delle sue proposte, al di là dei successi elettorali, dell’occupazione delle poltrone e del radicamento territoriale.
E’ per questo che il PdL odierno ha maledettamente bisogno di Libertiamo, che porta con sé la parte più alta e nobile della destra moderna, quella di Friedman, di Hayek, di von Mises, ed esprime con Benedetto Della Vedova (ed Antonio Martino) una rappresentanza parlamentare davvero liberista.
Lo stesso elettorato radicale, posizionato da sempre su una linea di confine fra destra e sinistra, era ben più numeroso nel ’94 e nel’96 (quando i radicali concorrevano alle elezioni da alleati dell’allora Casa delle Libertà) arrivando a superare agevolmente il 3%, mentre il dazio maggiore in termini elettorali fu pagato con la svolta socialista della Rosa nel Pugno (che raccolse grossomodo, in termini percentuali gli stessi consensi ottenuti dalla Lista Bonino alle scorse europee).
Questo Berlusconi, Fini e l’intero Pdl lo sanno benissimo e hanno saputo far tesoro della cultura riformatrice e liberale di quella parte del mondo radicale più lontana dal liberalsocialismo, prossima alla politica liberista, già compiutamente abbracciata dal Partito Radicale negli anni Novanta (quando si parlò di “svolta liberista” dei radicali).
Oltre al PdL esiste in Italia un altro grande partito a vocazione (in questo caso sedicente) maggioritaria: il Partito Democratico, che però diffida enormemente dei radicali.
Si tratta di una difficoltà di rapporti che si manifestò fin dalla nascita del Pd, quando Marco Pannella, per fare onore alla sua storia (aveva auspicato per anni la nascita in Italia di un Partito Democratico sul modello statunitense) chiese coerentemente di candidarsi alla segreteria. Richiesta che venne puntualmente respinta dalla classe dirigente piddina, al pari di quella di Antonio Di Pietro e, qualche anno dopo, di Beppe Grillo.
Resta un mistero capire come possa un partito che vorrebbe essere maggioranza chiudere le porte a tutti quelli che bussano alla sua porta, i quali sembrano essere rei di un solo misfatto: non poter esibire un passato ex-comunista o ex-democristiano.
Curiosamente, il peccato originale del liberalismo viene perdonato in ambito giovanile, con la candidatura (per quanto ostacolata, sudata, contestata e sofferta) della radicale Giulia Innocenzi; ma poi esso pare tornare preponderante nel corso delle ultime elezioni europee, quando il Pd ha preferito pagare un ulteriore prezzo in termini di calo di consensi, piuttosto che tenere fede alle promesse di un anno prima (con Bettini che parlò di trecentomila preferenze per confermare Pannella in Europa), arrivando a parlare di “divorzi consensuali” mai avvenuti.
Il progetto veltroniano di un grande e moderno partito di sinistra non era affatto da buttar via, ma, a mio modo di vedere, non è stato concretizzato proprio per la sospettosa e preconcetta chiusura alle varie anime della sinistra, e in primo luogo a quella liberale dei radicali. Una sinistra che non saprà essere anche, compiutamente, liberale sarà destinata a esprimere la sua reale vocazione: quella di essere una minoranza, incapace di far proprie le istanze, per rimanere in un ambito italiano, almeno di Carlo Rosselli e di Guido Calogero.

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